Il Long-Covid colpisce un'importante percentuale di pazienti colpiti dal virus, ma sui suoi sintomi permangono ancora dubbi. Ora un gruppo di scienziati dell'Università di Birmingham ha svolto uno studio tra il 31 gennaio 2020 e il 15 aprile 2021, ancora in preprint sulla piattaforma ResearchSquare, che mira ad individuarli tutti, 115 per la precisione. Ma quali sono?
La differenza tra COVID-19 sintomatico in corso e COVID-19 lungo è stata differenziata dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE) del Regno Unito: i sintomi che persistono tra le quattro e le dodici settimane possono essere considerati come sintomi di COVID-19 in corso. Tuttavia, se i sintomi persistono oltre le dodici settimane, gli individui dovrebbero essere considerati affetti da Long-Covid.
Gli scienziati inglesi hanno utilizzato le cartelle cliniche di 486.149 pazienti adulti, che avevano avuto l'infezione da SARS-CoV-2, ma non avevano richiesto il ricovero, e quelle di 1.944.580 pazienti senza COVID-19. Dall'analisi sono emersi i 115 sintomi che, con diversa probabilità, possono essere associati al Long-Covid. Sessantadue sintomi erano associati, in modo statisticamente significativo, a 12 settimane dopo l'esposizione al coronavirus. I maggiori rischi erano per anosmia, perdita di capelli, starnuti, difficoltà con l'eiaculazione, libido ridotta, mancanza di respiro a riposo, affaticamento, dolore toracico pleuritico, voce rauca e febbre.
Tra i fattori di rischio più elevati per sviluppare il Long-Covid si riscontravano: il sesso femminile, un'età compresa tra i 18 e i 30 anni, l'essere fumatori e l'obesità. Anche alcune patologie, in questa analisi, sono state associate ad un maggior rischio di sequele a lungo termine: tra le più importanti si segnalano la broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), l'iperplasia prostatica benigna (Ipb) e la fibromialgia.
Ma attenzione a fare bene la diagnosi: più di tre quarti delle diagnosi di Long-Covid potrebbero essere fasulle o sovra-diagnosticate. A dirlo uno studio della Università di Rockville in collaborazione con la John Hopkins University, presentato alla Conference of Retrovirus and Opportunistic Infection Conference 2022, che nota come in molti casi almeno un sintomo riportato dai pazienti diagnosticati Long-Covid erano probabilmente già presenti prima dell'infezione. Se poi si a vedere la percentuale dei pazienti che non riporta sintomi già presenti nella popolazione generale questa scende a meno del 13%. I ricercatori suggeriscono quindi che per la diagnosi accurata di Long-Covid e per stabilire quali sintomi siano legati ad essa è necessario che il medico faccia la migliore anamnesi e storia clinica del paziente.