Professione medica
Ospedali
01/05/2022

Medicina di genere, dall'ospedale per le donne alla rappresentanza in sanità. Gli obiettivi a cinque anni dalla legge

Si chiama woman hospital, ospedale per le donne, è la nuova frontiera. Qualcuno lo potrà definire ospedale "di genere", ma vi viene esercitata una medicina a misura di paziente e la paziente è donna e le donne rappresentano il 53% della popolazione italiana. Il progetto è avveniristico, ma sono maturi i tempi per la sua realizzazione, come ha sottolineato Carla Vittoria Maira, presidente di Atena Donna, che ha promosso l'idea. Un passo importante, di cui ha parlato Anna Maria Colao presidente della Società Italiana di Endocrinologia al meeting "Salute della donna politiche per il futuro", moderato da Beatrice Lorenzin, è già stata utilizzata in Olanda, negli Stati Uniti ed in Asia, ed è visto con interesse anche dal ministro della Salute Roberto Speranza, ospite dei lavori. L'incontro è un'occasione per celebrare la Giornata della Salute della Donna ma riveste interesse soprattutto per due motivi: avviene a poco meno di cinque anni dal varo della prima legge sulla medicina di genere, ed è occasione non solo per fare un punto sulla sua attuazione (che prevede percorsi orientati sul genere nelle sperimentazioni e nei ricoveri ordinari, un centro di riferimento, un piano di formazione) ma anche sui gap tra generi esistenti a livello sia italiano sia mondiale. I dati di Colao sono internazionali: l'80% delle terapie innovative è testato nel sesso maschile «a dispetto di dati di fatto che giustificano un equilibrio come la diversa percentuale di grasso corporeo, la donna ne ha un 20% in più dell'uomo, e le sue conseguenze sulla veicolazione dei farmaci e sui dosaggi dei medicinali, inclusi quelli oggi d'uso più comune». La donna è svantaggiata anche in Italia, dove però lo svantaggio rispetto al resto d'Europa è accentuato da una minore rappresentanza femminile ai ruoli di comando. Paola Testori Coggi responsabile della task force Global Health & Covid 19 ricorda l'indagine Fiaso-Sda Bocconi secondo cui le donne medico sono il 44% ma le apicali (intese come direttori di struttura complessa) sono il 17% appena contro il 25% della media dei paesi dell'Unione Europea, e le donne Direttore Generale di Asl od ospedale sono il 18% anche se a livello di candidate nelle liste dei manager sono il 26%: non è vero che non si presentano o fanno dei "passi indietro" (quelli li vediamo tra poco, sulla salute), in Lombardia sono il 25% alle selezioni per i manager ma sono state scelte l'ultima volta nel 5% dei casi, in Sicilia dov'erano il 17% sono state scelte nel 7% dei casi. Un incentivo sarebbe inserire anche nella legge sulla concorrenza delle quote per i ruoli apicali nel Servizio sanitario pubblico com'è stato fatto sulla scia europea per le società per azioni, un tema su cui Lorenzin e Sandra Zampa, già viceministro della Salute, si impegneranno in queste settimane.

Tornando ai temi della patologia, della mancata partecipazione agli screening, del Covid che ha tenuto lontane le pazienti a partire dalla prevenzione, importanti le riflessioni di Eleonora Porcu vicepresidente III Commissione del consiglio superiore di sanità e di Roberta Rossini dell'ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo, cardiologa: le donne conoscono poco se stesse, non viene affrontata un'adeguata formazione/informazione sulla loro diversità ma anche semplicemente sulla loro salute a partire da quella riproduttiva e da quella cardiovascolare, e se ci sono in atto delle sperimentazioni farmacologiche, gli uomini si fanno avanti per partecipare, mentre alcune pazienti, anche richieste, vedono con un certo timore i tempi burocratici dell'arruolamento. E si perdono occasioni. Il ministro Speranza ha sottolineato che, con l'iniezione di liquidità alla sanità pubblica consentita dai fondi europei del Recovery Plan è il momento di investire su medicina di genere e prevenzione, specie in campo oncologico. Altro tema interessante a cinque anni dalla legge è fino a che punto sia appropriato insistere sulle differenze di genere. «La medicina di genere è la medicina che tutti noi dovremmo avere per obiettivo, ordinariamente, considerando differenze e disequità e dando risposte a tutte le posizioni che hanno meno voce nella nostra società, l'età, l'etnìa, le condizioni sociali», riflette Anna Maria Moretti presidente della Società scientifica Giseg-Gruppo Italiano Salute e Genere. C'è poi chi di peso ne ha avuto fin troppo quando era decisore e ora ne ha meno: l'anziano, assistito in ospedali pensati 40 anni fa, dove oggi i contesti non sempre privilegiano l'umanizzazione e non sono nemmeno sostenibili: per le classi d'età più elevate - sottolinea Roberta Siliquini Scuola Igiene UniTo -la risposta è nella telemedicina e nell'assistenza territoriale organizzata. Beatrice Lorenzin conclude sottolineando come le sollecitazioni su una maggiore e migliore informazione siano ineludibili per il governo soprattutto ora che la guerra silenzia la pandemia e con essa persino gli aspetti del pianeta salute che il virus ha messo in secondo piano.

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