Trasformare i medici di famiglia, oggi liberi professionisti convenzionati, in dipendenti del Servizio sanitario nazionale “non solo non risolverebbe i reali problemi del sistema sanitario territoriale, ma sottrarrebbe ai cittadini nel loro ambiente di vita l’unica figura di riferimento fiduciaria esistente nell''assetto socio-sanitario attuale, rappresentato dal medico di famiglia”. È un no secco quello del Consiglio nazionale Fimmg nei confronti di una soluzione legislativa che modifichi il ruolo giuridico degli attuali e dei futuri medici di medicina generale. Decisione che invece le Regioni stanno portando avanti, discussa nel corso di un incontro con il ministero per condividere il percorso verso la riforma dei medici di famiglia. I tecnici delle Regioni si sono dati appuntamento la prossima settimana al ministero quando ci sarà un nuovo incontro, questa volta alla presenza del ministro Orazio Schillaci.
L'obiettivo principale che Regioni e Ministero vogliono portare avanti è assegnare i medici di famiglia alle nuove Case di comunità, di cui ne sono previste oltre 1.400 entro la metà del 2026. Su questo progetto il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) ha stanziato ben 2 miliardi di euro. Per le Regioni, la riforma è cruciale per evitare il rischio di trasformare queste strutture in scatole vuote. Un timore già concreto: delle oltre 400 Case di comunità già attive, molte offrono solo servizi minimi proprio a causa della carenza di personale sanitario. L'ipotesi di trasformare la riforma in decreto è imminente e potrebbe concretizzarsi già entro febbraio. Tra le misure più significative, vi è la possibilità di assumere i nuovi medici di famiglia come dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Questo consentirebbe di assegnarli direttamente ai distretti sanitari e, in primis, alle Case di comunità. Una novità che segnerebbe l'abbandono dello status attuale di liberi professionisti convenzionati con il sistema sanitario pubblico. Oggi, infatti, i medici di famiglia assistono un numero definito di pazienti nei propri ambulatori, con un massimale di 1.500 assistiti e una retribuzione media superiore ai 100 mila euro annui. Tuttavia, da questa somma devono essere sottratti i costi dello studio, dalle utenze al personale di segreteria, oltre alle imposte fiscali.
Viene dato mandato al segretario nazionale di convocare il Consiglio nazionale “entro 10 giorni, viste le relazioni attualmente in corso con gli organi istituzionali necessarie a chiarire nel diritto di rappresentanza il livello di discussione con Regioni e Ministero tramite atti ufficiali, allo scopo di individuare ulteriori opportune modalità di lotta sindacale anche non convenzionale”, è stata la richiesta immediata del Consiglio nazionale Fimmg. L'attuale modello, osserva Fimmg Lombardia, "consente ai cittadini di scegliere il proprio medico di fiducia, instaurando un legame fondamentale per una presa in carico personalizzata e vicina alle loro necessità. Con l'introduzione della dipendenza, invece, si verrebbe a creare un sistema in cui i pazienti sarebbero costretti a rivolgersi al medico di turno all'interno delle Case di Comunità, senza alcuna possibilità di scelta". Questo approccio, avverte il sindacato, "minaccerebbe seriamente la capillarità degli ambulatori oggi diffusi su tutto il territorio, con pesanti conseguenze soprattutto per i comuni medio-piccoli che costituiscono il cuore della Lombardia". "Chi sostiene la dipendenza dei medici di famiglia, non ha compreso, o non vuole comprendere, che dietro slogan ad effetto si nasconde il rischio di distruggere un pilastro fondamentale della sanità nazionale - sottolinea il segretario generale Fimmg Lombardia, Paola Pedrini - I cittadini perderanno la libertà di scegliere il proprio medico e vedranno scomparire gli ambulatori di prossimità, elemento cruciale soprattutto nelle realtà più piccole. La medicina generale, come finora organizzata, ha dimostrato di essere un modello efficace, sostenibile e vicino ai cittadini, costruito su fiducia, continuità di cura e presenza capillare sul territorio. Smantellare questo modello significa allontanare i professionisti dalle reali necessità delle loro comunità, a scapito della salute pubblica".