
I pazienti fragili che, nonostante la vaccinazione, hanno contratto Covid-19 in forma grave e sono finiti in terapia intensiva continuano a godere dei benefici del vaccino: rispetto ai pazienti non vaccinati nelle loro stesse condizioni hanno infatti un rischio di morte più basso di oltre il 30%. È il dato che emerge da uno studio condotto dal Gruppo italiano per la Valutazione degli interventi in Terapia Intensiva (GiViTI), coordinato dall'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano, pubblicato sulla rivista Intensive Care Medicine.
Lo studio ha coinvolto nell'arco di un anno (da giugno 2021 a giugno 2022) circa mille pazienti ricoverati in 27 terapie intensive. Meno di un terzo di loro era vaccinato; i pazienti vaccinati, inoltre, erano più anziani (71 anni contro i 63 dei non vaccinati) ed erano più frequentemente affetti da comorbidità come ipertensione, diabete, tumori (91,2% contro 65,7%).
La ricerca ha mostrato che questa condizione di maggiore fragilità iniziale li espone a più alto un rischio di morte rispetto ai non vaccinati; tuttavia, quando i pazienti vaccinati sono stati confrontati con non vaccinati nelle loro stesse condizioni di età e salute iniziali, il rischio di morte è risultato più basso del 34%. "Ad esempio in pazienti Covid ammessi in terapia intensiva con mortalità del 50% il modello utilizzato ha permesso di stimare che la vaccinazione riduce il rischio di morte a circa il 40%", spiega
Stefano Finazzi Responsabile del Laboratorio Clinical Data Science del Mario Negri.
"I dati raccolti dallo studio mettono in luce la necessità di una strategia di richiamo nella popolazione fragile (anziani con comorbidità) che potrebbe essere a rischio di infezione", conclude il presidente GiViTI Mario Tavola.