In un opinion paper pubblicato su Pharmadvances,
Gilberto Corbellini, dell'Università Sapienza di Roma, e
Luca Pani, dell'Università di Modena e Reggio Emilia, della University of Miami, di WCG-VeraSci, Durham e di Relmada Therapeutics, affrontano le tematiche del vaccino contro Covid-19 e delle varianti del virus viste alla luce dell'evoluzione darwiniana.
«Perché, se le vaccinazioni sono più sicure che in passato, il pregiudizio contro di esse è così persistente o in crescita?» si domandano gli esperti.
Secondo
Corbellini e
Pani, tra le molte spiegazioni date per l'avversione al vaccino, quella evolutiva è piuttosto realistica. In effetti, con il passare del tempo, il disgusto che una volta le persone provavano per i parassiti è oggi in parte scomparso, proprio grazie ai vaccini. E i vaccini quindi, che introducono nel corpo qualcosa di estraneo, vengono oggi associati al disgusto stesso. Sempre rispetto al COVID-19, la gente si chiede se e quando SARS-Cov-2 attenuerà la sua contagiosità e diventerà un comune virus che sarà presente nella vita dell'uomo, come il comune raffreddore. Gli esperti sottolineano che non si sa se e quando questo avverrà, anche se è possibile.
Una delle caratteristiche dei fenomeni darwiniani è che le variazioni che fanno mutare il fenotipo di un organismo, quindi anche di un virus, non sorgono con lo scopo di renderlo più forte o ottimizzato, e neppure più debole, ma sono casuali e dipendono dal vantaggio replicativo nell'ambiente in cui si trovano. A questo punto è facile chiedersi se nell'evoluzione nasceranno nuove varianti i vaccini potranno bloccarle, e se i vaccini stessi favoriranno l'evoluzione di ceppi benigni, o se ci sarà una selezione a favore della virulenza.
In realtà, riflettono gli scienziati, se gli attuali vaccini perdessero di efficacia, le piattaforme create, in particolare quelle a mRna, sono sufficientemente flessibili per variare le informazioni da inviare alle cellule per fare esprimere nuovi epitopi immunogenici.
Per quanto riguarda invece il secondo interrogativo, da tempo ci si domanda se esista una resistenza ai vaccini e per i farmaci e, in caso di risposta affermativa, come questa si evolva. Gli autori spiegano che in realtà la resistenza ai vaccini è emersa solo raramen e che questo succede perché i vaccini tendono a funzionare in maniera profilattica, mentre i farmaci sono terapie: i vaccini non dovrebbero consentire la replicazione e la conseguente crescita delle popolazioni patogene e, di conseguenza, non dovrebbero permettere l'evoluzione di questi organismi. Inoltre, i vaccini tendono a indurre risposte immunitarie contro più bersagli su un patogeno, mentre i farmaci prendono di mira pochissimi bersagli.
Se SARS-CoV-2 dovesse evolversi in risposta a un vaccino anti-COVID, potrebbe adottare la strategia del virus dell'influenza, cioè cambiare le molecole di superficie prese di mira dagli anticorpi, e il virus potrebbe diventare praticamente innocuo. Sarebbe invece più pericoloso se il virus imparasse a replicarsi più rapidamente dell'immunità generata dal vaccino, o se il virus decidesse di colpire il sistema immunitario e smorzare l'immunità indotta dal vaccino.
Secondo gli esperti, il vaccino ideale prevede che non ci sia alcuna replicazione o trasmissione, e quindi nessuna evoluzione. Inoltre, per essere a prova di evoluzione, il vaccino dovrà attivare risposte immunitarie che attacchino contemporaneamente diverse parti dell'agente patogeno.
Pharmadvances 2022. Doi: 10.36118/pharmadvances.2021.20
http://doi.org/10.36118/pharmadvances.2021.20