Costi privati in aumento per un paziente cronico su due e uno su cinque è stato costretto a rinunciare alle cure per motivi economici. È questo uno dei dati più allarmanti emersi dal XIX Rapporto sulle politiche della cronicità, dal titolo "La cura che (ancora) non c'è", presentato da Cittadinanzattiva e realizzato con il coinvolgimento di 64 associazioni di pazienti con patologia cronica e rara aderenti al CnAMC (Coordinamento nazionale Associazioni Malati cronici) e di circa 3000 pazienti. Il Rapporto è realizzato con il sostegno non condizionato di MSD e di Chiesi. «Le risorse che stanno arrivando con il PNRR sono preziose ma vanno accompagnate con misure che ne consentano solidità strutturale anche dopo il 2025, a cominciare da un adeguato potenziamento del personale sanitario, e con la realizzazione di quelli che da tempo sono strumenti prioritari ma ancora non attuati appieno per rispondere alle esigenze dei malati cronici e rari», dichiara Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.
Dal Rapporto circa tre associazioni su quattro denunciano la presenza di importanti differenze sul territorio nazionale e regionali sulla gestione e presa in carico dei pazienti: ad esempio, solo poco più di una su due (52,3%) afferma che sono presenti ovunque i registri di patologia. Quasi un cittadino su due (48,8%) ha avuto difficoltà nell'ottenere il riconoscimento dell'invalidità e handicap, principalmente perché i medici della commissione sottovalutano la patologia perché non la conoscono, e per i tempi eccessivamente lunghi per la visita di accertamento. Il 62% afferma le criticità sono aumentate con la pandemia. Più di uno su tre (34,3%) ha incontrato difficoltà per l'assistenza domiciliare integrata, e ben il 71% dichiara che la situazione è peggiorata rispetto al periodo pre-covid: in particolare mancano figure specializzate, oppure si fa fatica ad attivarla o viene sospesa da un momento all'altro. Più di un paziente su cinque (22,7%) segnala criticità nell'assistenza protesica e integrativa, criticità aumentate rispetto al passato nel 70,8% dei casi. In particolare sono troppo lunghi i tempi di autorizzazione e rinnovo per avere presidi, protesi ed ausili, gli stessi non sono compresi nel nomenclatore tariffario o non sono adatti alle esigenze personali.
Se da un lato la pandemia ha avuto un impatto positivo sui servizi e programmi di telemedicina che, a detta dell'oltre il 58% delle associazioni, sono stati incrementati, e sul rafforzamento del ruolo delle stesse associazioni che hanno attivato o ampliato gli spazi e gli strumenti di informazione, tutela e advocacy per i propri pazienti, dall'altro lato ha acuito problemi già evidenti anche prima dell'emergenza. Un paziente su due, 52,4%, ritiene aumentate le criticità, il 41,4% invariate e il 6,2% leggermente peggiorate. I pazienti sostengono abitualmente di tasca propria costi privati necessari alla gestione della patologia. Il 45% circa per l'acquisto di parafarmaci ed integratori non rimborsati, oltre il 40% per effettuare visite specialistiche in regime privato o intramurario, il 36% per la prevenzione terziaria (diete, attività fisica, dispositivi), il 33% circa per effettuare esami diagnostici a pagamento. Uno su due afferma che i costi sono aumentati rispetto al periodo pre-pandemia e uno su cinque è stato costretto a rinunciare ad alcune cure perché non poteva sostenerne i costi. Si arriva a spendere fino a 60.000 euro per l'adattamento dell'abitazione o la retta in RSA. Più di un paziente cronico su due (53,2%) afferma che c'è almeno una persona a prendersi cura di lui, nella stragrande maggioranza (98%) si tratta di un familiare. Sono i cosiddetti caregiver: dimenticati dalle istituzioni, assistono i familiari anche per 20 ore a settimana. Vorrebbero occuparsi meno di burocrazia, essere a fianco della persona più da un punto di vista emotivo e avere maggiore spazio per sé stessi. Il 47,6% ha fra i 51 e i 65 anni, il 27% 36-50 anni, il 18,7% 66-80 anni, il 4,6% tra i 25-35 anni. Inoltre il 76,8% dei rispondenti è femmina. Oltre il 28% dichiara di dedicare alla cura ed assistenza del familiare più di 20 ore a settimana, e circa il 30% è caregiver da 5-10 anni, un 20% addirittura da più di 20 anni.