L’Associazione Luca Coscioni ha lanciato un’azione concreta contro una delle emergenze più croniche e meno risolte della sanità italiana: le liste d’attesa. Da oggi, i cittadini possono scaricare sul sito dell’associazione un modulo che consente di pretendere la prestazione sanitaria entro i tempi stabiliti per legge, attivando così il cosiddetto “percorso di tutela”. L'iniziativa dell’Associazione Coscioni arriva mentre il problema delle liste d’attesa assume contorni sempre più drammatici. Tra il gennaio 2023 e il maggio 2024, Cittadinanzattiva ha raccolto 24mila segnalazioni da parte di cittadini impossibilitati a prenotare visite o esami. Il 31% ha riscontrato un blocco totale delle liste, il 20% difficoltà nel contattare i centri prenotazioni, mentre il restante 50% ha denunciato ritardi ben oltre i limiti di legge.
Quella dell’Associazione Coscioni è un’operazione che può diventare un’arma potente per milioni di persone bloccate in un limbo di rinvii, attese infinite e visite che arrivano quando ormai è troppo tardi. L’iniziativa è rivolta a chi, dopo aver ricevuto una prescrizione medica con indicata una delle quattro classi di priorità (U, B, D, P), si scontra con le strutture pubbliche incapaci di rispettare i termini massimi: da 72 ore per le urgenze, fino a un massimo di 120 giorni per i casi meno gravi. Quando questi termini non vengono rispettati, il cittadino ha diritto — senza costi aggiuntivi — a ricevere la prestazione in intramoenia o in una struttura privata convenzionata. Una possibilità troppo poco conosciuta e ancor meno applicata. “Siamo pronti ad attivarci in caso di risposte negative dalle strutture”, hanno dichiarato Marco Cappato e Filomena Gallo, tesoriere e segretaria dell’Associazione, denunciando come “liste d’attesa patologiche rischiano di compromettere il diritto stesso alla cura e la gratuità del servizio sanitario”. Secondo un’indagine di Altroconsumo, oltre la metà delle visite (52%) e un terzo degli esami (36%) superano i tempi massimi. Le attese medie? Circa 105 giorni, con punte che arrivano oltre l’anno. E solo il 40% degli italiani è a conoscenza del fatto che esistono tempi massimi per legge. Risultato: molti si rivolgono alla sanità privata, con un costo medio di 138 euro a prestazione, mentre chi non può permetterselo spesso rinuncia alle cure. Questa deriva sta trasformando profondamente il sistema: secondo il Rapporto GIMBE, tra il 2022 e il 2023 la spesa sanitaria delle famiglie italiane è aumentata del 10,3%. In dieci anni, dal 2012 al 2022, è cresciuta del 26,8%. La sanità pubblica, storicamente basata su universalismo e accessibilità, si sta lentamente privatizzando di fatto. Il 25% degli italiani ha una polizza sanitaria, spesso legata al lavoro, a conferma che chi ha mezzi trova alternative, chi non li ha resta intrappolato.
Nel frattempo, il Parlamento sta discutendo un nuovo disegno di legge sulle prestazioni sanitarie. Le Regioni chiedono più autonomia su personale, appalti e gestione delle liste, con emendamenti che puntano anche a un uso più ampio delle strutture private accreditate. Tra le proposte: deroghe ai tetti di spesa per l'acquisto di prestazioni private e un potenziamento della prescrizione appropriata, con più responsabilità ai medici nel classificare urgenze e bisogni reali. Nel tentativo di intervenire direttamente, la Regione Lombardia ha siglato un protocollo con i Carabinieri del NAS per controllare le liste d’attesa ospedaliere. Un’azione senza precedenti in Italia, che punta a scoprire le inefficienze e gli abusi del sistema. Ma non senza polemiche. Il presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, Roberto Carlo Rossi, parla di una "militarizzazione della sanità" e di una “rinuncia alla responsabilità politica”. Anche all’interno della stessa giunta lombarda l’accordo ha creato tensioni, con l’assessore Bertolaso che ha offerto le dimissioni — poi respinte — dopo gli attacchi del suo stesso schieramento.