Con oltre 60 milioni di persone colpite nel mondo, di cui 600.000 in Italia, l’Epilessia è una delle malattie neurologiche più diffuse, per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto l’Epilessia come una malattia sociale. Oltre il 30% delle Persone con epilessia è farmacoresistente, ma questo non significa che sia epilessia intrattabile. Dall’intervento chirurgico che nella maggior parte dei casi è risolutivo, alla sperimentazione di farmaci innovativi e alle terapie palliative sono molte le opzioni disponibili. A fare il punto è la Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE).
“Per farmacoresistente - spiega Laura Tassi, Presidente LICE e neurologo presso la Chirurgia dell'Epilessia e del Parkinson del Niguarda, Milano – intendiamo una Persona con Epilessia che continua ad avere crisi pur avendo provato almeno due farmaci specifici per il suo tipo di Epilessia, ben tollerati, somministrati alla massima dose possibile e per un adeguato periodo di tempo, in monoterapia o in associazione con altri farmaci. In alcuni casi, può essere avviato un iter per valutare la fattibilità e l’indicazione ad un intervento chirurgico o, laddove questo non fosse possibile, esistono terapie alternative che includono la Stimolazione Vagale, la Deep Brain Stimulation o la dieta chetogenica”.
“La libertà dalle crisi - continua Carlo Andrea Galimberti, Vice Presidente LICE e Responsabile del Centro per lo Studio e la Cura dell'Epilessia, IRCCS Fondazione Mondino, Pavia – è probabilmente il fattore più influente sulla Qualità della Vita di una Persona con Epilessia: essa consente in molti casi di recuperare l’autonomia personale, l’idoneità alla guida di veicoli a motore a un anno dall’intervento, e la possibilità di lavorare o, nei casi pediatrici, di frequentare la scuola, senza gli effetti cognitivi negativi dovuti alle crisi e, talvolta, alla terapia farmacologica”.
La terapia chirurgica
La terapia chirurgica delle Epilessie consiste nella rimozione, quando è possibile senza indurre deficit neurologici, della regione cerebrale responsabile delle crisi, definita Zona Epilettogena. La Guida alle Epilessie 2023 stima che almeno il 15-20% dei soggetti farmacoresistenti possa trovare beneficio grazie ad un intervento neurochirurgico specificamente mirato.
Le procedure chirurgiche presentano rischi molto bassi (intorno all’1%) e circa il 70% dei pazienti operati ottiene un ottimo risultato con l’intervento.
A fronte di migliaia di soggetti candidati alla terapia chirurgica dell’Epilessia, ogni anno sono effettuati in tutta Italia non più di 300 interventi neurochirurgici specifici. Un ampliamento e potenziamento dei Centri per la Chirurgia dell’Epilessia potrebbe ridurre i tempi di attesa per poter accedere alla terapia chirurgica.
Per le Persone con epilessia farmacoresistente che non possono essere operate, è possibile ricorrere a terapie palliative che possono ridurre frequenza e intensità delle crisi e magari alleggerire la terapia con farmaci, come la Stimolazione Vagale, la Deep Brain Stimulation (DBS), e la dieta chetogenica.
Stimolazione vagale
La stimolazione vagale consiste nell’invio al nervo vago di stimoli elettrici, tramite un generatore di impulsi posizionato sottocute a livello della clavicola, attraverso un elettrodo applicato chirurgicamente; tale stimolazione (Stimolazione del Nervo vago SNV) può ridurre la frequenza delle crisi e garantire un miglioramento della qualità di vita.
Altre tecniche di neurostimolazione e Deep Brain Stimulation
Negli ultimi anni sono state messe a punto alcune metodiche che consentono la possibilità di stimolare direttamente, tramite elettrodi impiantati in regioni cerebrali diverse, alcune aree corticali o sottocorticali in grado di modulare e modificare l’attività epilettica. Tali tecniche, eseguibili solo presso Centri altamente specializzati, sono ad oggi riservate a soggetti farmacoresistenti selezionati.
La dieta chetogenica
La dieta chetogenica ha dimostrato di migliorare il controllo delle crisi nelle Persone con Epilessia e viene anche usata per trattare alcune patologie metaboliche quali i quadri di GLUT1 (deficit di proteina di trasporto del glucosio) e PDH (carenza di piruvato deidrogenasi). La dieta chetogenica si propone di indurre uno stato di chetosi cronica che simula sul piano metabolico gli effetti del digiuno. Con questa dieta si obbliga l’organismo a utilizzare i grassi invece del glucosio come fonte di energia, mantenendo deliberatamente elevato lo sviluppo di corpi chetonici. Questo regime alimentare va seguito sotto la supervisione di un epilettologo e un dietista.