
Un nastro nero campeggiava il 25 aprile in molti account Facebook, e non solo di operatori sanitari. Ha destato impressione nell'opinione pubblica e nel Governo l'omicidio dell'ennesimo operatore sanitario, a Pisa, la psichiatra Barbara Capovani, aggredita selvaggiamente da un paziente davanti all'ospedale.
E, dall'ordine ai sindacati, un coro di voci invita a guardare non tanto alle pene inasprite per chi aggredisce operatori sanitari quanto al dovere di Asl e ospedali di aiutarsi con la Polizia nel controllo e nella dissuasione. Intanto in Toscana sindacati medici, Fnomceo, intersindacale della Dirigenza Area Sanità Toscana e Ordini regionali hanno indetto una fiaccolata e mercoledì 3 maggio alle 20 sfileranno a Pisa in Piazza Vittorio Emanuele II.
«Morire sul lavoro e per il lavoro, uscire di casa la mattina e non farvi ritorno la sera non è tollerabile per una società civile che deve proteggere e prendersi cura di chi dedica la propria vita, il proprio tempo agli altri nel sistema sanitario regionale e nazionale», è il messaggio dei sindacati medici ospedalieri.
Lucia Toscani, coordinatrice Commissione pari opportunità Omceo Firenze, si appella a cittadini e sanitari di tutta Italia: «Solleviamo una voce forte davanti a un problema concreto: la sicurezza sul posto di lavoro. La prevenzione va messa in atto subito e capillarmente, gli aggressori perseguiti per legge e le aziende devono difendere i loro operatori facendosi parte civile. Il 25 aprile insegna il valore della libertà. Ma la libertà deve essere anche quella di poter lavorare con serenità e libertà di giudizio. Va ricostruita la fiducia reciproca». Il ministro della Salute Orazio Schillaci ieri ha riunito il tavolo della psichiatria. C'è un po' di sgomento di fronte al fatto che per ora può non funzionare lo spauracchio delle nuove pene previste nel decreto Bollette per chi aggredisce i sanitari. Ricordiamo che di fronte al boom di aggressioni nel 2020 la legge 113, in caso di lesioni gravi o gravissime a chiunque svolga attività di soccorso se aggredito sul lavoro, aveva previsto la reclusione da 4 a 10 anni per lesioni gravi e da 8 a 16 per le lesioni gravissime, inserendo l'aggravante di un terzo della pena per chi agisca contro personale "di cura" e la procedibilità d'ufficio in questi casi nelle lesioni. La legge 113 ha anche imposto una sanzione fino a 5 mila euro ma non ha funzionato e lo scorso 30 marzo il decreto-legge 34 ha nuovamente modificato l'articolo 583-quater del codice penale: non c'è più distinzione tra lesione "grave" e "gravissima" e la reclusione per chi aggredisce un sanitario, un Oss, un soccorritore o barelliere scatta sempre come pena e va da 2 a 5 anni per lesioni lievi, sale a 10 anni per le lesioni gravi, c'è sempre la procedibilità d'ufficio. Ma c'è un secondo aspetto da approfondire.
La legge 113 chiede anche alle strutture sanitarie di prevenire episodi di violenza aiutandosi con protocolli con le forze di polizia. Sono stati attuati protocolli in questi 3 anni? Fimmg in una nota sottolinea come nell'aggressione alla dottoressa Capovani «visti i precedenti dell'uomo, si sarebbe dovuto intervenire prima».
Emi Bondi, Presidente e
Liliana Dell'Osso, Presidente eletta SIP (Società Italiana di Psichiatria) evidenziano le criticità del modello attuale di assistenza psichiatrica, «che oggi si trova a gestire nuovi profili di gravità. È il caso delle problematiche dei pazienti autori di reato, di cui la psichiatria si trova a subire la delega, con personale sempre più esiguo e nella disattenzione delle amministrazioni, dovendo fornire risposte sulla gestione integrata e l'attuazione di programmi condivisi con i vari attori in gioco: circuiti penitenziari, tribunali, dipartimento per le dipendenze patologiche, servizi sociali (...) Occorre sensibilizzare le aziende sanitarie ad adottare protocolli di sicurezza specifici per ogni situazione di rischio». Il Presidente Fnomceo
Filippo Anelli, ricordando 10 anni fa l'omicidio di un'altra psichiatra a Bari, Paola Labriola, chiede un passo ulteriore: «Nella polizia si individui un settore specifico dedicato a proteggere gli operatori sanitari»; è vero, la legge ora «porta alla procedibilità d'ufficio anche se la violenza è lieve, ma persistono problemi di carattere culturale e organizzativo. Non abbiamo il tempo per parlare con i malati. La legge del 2017 che indica la comunicazione come tempo di cura non è realizzabile, per carenza di personale. Serve una riforma, Il 55% dei colleghi riferisce di aver subito violenza e il 48% pensa sia normale la violenza contro gli operatori sanitari mentre si tratta di una emergenza nazionale». In linea con Anelli, i medici dell'emergenza urgenzano riuniti in Simeu, con gli internisti di Fadoi e Simi chiedono «garanzie vere per gli operatori sanitari e una depenalizzazione dell'atto medico da subito» e confidano nel sostegno delle altre società scientifiche.
Francesco Esposito della Federazione Medici del Territorio-FMT chiede che in caso di aggressione «si possa prevedere un sorta di codice rosso e una corsia preferenziale di ascolto- intervento a tutela di chi subisce minacce e di chi lavora in situazioni di maggiore rischio».