Nell'era delle target therapy, il metodo convenzionale di classificare i tumori rischia di ostacolare l’accesso ai farmaci. A chiedere una riflessione sul nome dei tumori è un gruppo di esperti e ricercatori dell’istituto francese Gustave Roussy dalle pagine della rivista 'Nature' chiede di riflettere sulla possibilità di cambiare denominazione ai tumori. È non è una questione di ‘toponomastica'. Nel secolo scorso i due principali approcci al trattamento delle persone affette da cancro - chirurgia e radiazioni - si sono concentrati sulla sede del tumore nell'organismo. Questo ha portato gli oncologi medici e altri operatori sanitari, le agenzie regolatorie, le compagnie assicurative, le aziende farmaceutiche - e i pazienti stessi - a classificare i tumori in base all'organo in cui avevano avuto origine. Tuttavia, esiste una crescente disconnessione tra questa classificazione e gli sviluppi nell'oncologia di precisione, che utilizza appunto la profilazione molecolare delle cellule tumorali e immunitarie per guidare le terapie.
Più di dieci anni fa, ad esempio, alcuni ricercatori negli Stati Uniti hanno dimostrato in uno studio clinico che il farmaco nivolumab può migliorare gli esiti in alcuni individui affetti da cancro. Lo studio includeva persone con diversi ‘tipi' di cancro (come convenzionalmente definiti), dal melanoma al cancro del rene. Nivolumab ha ridotto i tumori di alcune persone di oltre il 30%, ma ha avuto poco o nessun effetto sui tumori di altre. Nivolumab ha come target Pd1, recettore di una proteina chiamata Pd-L1, che aiuta le cellule tumorali a sfuggire all'attacco del sistema immunitario. Dei 236 partecipanti allo studio valutati, 49 hanno risposto positivamente al trattamento. Una storia simile si è verificata con la maggior parte dei farmaci testati negli studi clinici negli ultimi 10 anni, evidenziano gli autori citando anche gli inibitori Parp, che uccidono le cellule tumorali portatrici delle mutazioni nei cosiddetti geni 'Jolie', Brca1 e Brca2. È ormai noto che queste mutazioni si verificano in molteplici 'tipi' di tumore come convenzionalmente definiti, non solo nel cancro al seno, ricordano. E aggiungono ancora: i tumori metastatici rappresentano circa il 67-90% dei decessi per cancro e sono quasi sempre trattati a livello sistemico, con farmaci che entrano nel flusso sanguigno. "Per migliorare i trattamenti per queste persone, si deve urgentemente passare dall'uso delle classificazioni del cancro basate sugli organi a quelle molecolari - chiedono i ricercatori - E questo richiederà cambiamenti radicali nel modo in cui l'oncologia medica è strutturata, condotta e insegnata". Nei prossimi anni e decenni, numerosi ‘livelli' di informazioni potrebbero essere incorporati in caratterizzazioni complete del cancro che siano uniche per ciascun paziente, e questo aprirà a cure sempre più personalizzate. Classificare i tumori in base alle loro caratteristiche molecolari - concludono gli autori - accelererebbe l'accesso di milioni di persone a trattamenti efficaci; è anche il primo passo verso l'oncologia di precisione e una comprensione biologica più profonda del funzionamento del cancro".
“Una rivoluzione incredibile, impensabile fino a poco fa. Si propone di non chiamare più i tumori a seconda dell'organo di origine, ma sulla base delle loro caratteristiche molecolari". Lo sottolinea su X Roberto Burioni, professore di virologia all'università Vita Salute San Raffaele, commentando la proposta. per il direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, Roberto Orecchia, è sicuramente il momento di "ripensare il sistema" di denominazione "per adeguarlo ai progressi" scientifici e ai passi avanti fatti, ma senza dimenticare alcuni punti fermi che hanno guidato i medici finora. "Penso sia utile avere una classificazione sulla base molecolare. Tuttavia, occorre considerare che probabilmente ancora oggi la maggior parte dei tumori non ha una caratterizzazione molecolare e non tutte le alterazioni molecolari hanno poi un farmaco corrispondente che possa essere utilizzato", commenta all'Adnkronos Salute. "Personalmente - prosegue - credo che il problema sia in questo momento il fatto che non tutti i tumori hanno delle alterazioni molecolari. Questo è variabile da tumore a tumore: nel melanoma la mutazione Braf è espressa nel 30% dei pazienti e guida la terapia. In altre situazioni siamo su percentuali più basse. Su alcuni tipi di tumore, come quelli del pancreas o delle vie biliari o altre neoplasie rare, è molto infrequente". La filosofia per Orecchia, "più che rimpiazzare, sarebbe ampliare" la classificazione. Se prima c'erano 3 parametri per definire e classificare un tumore, "adesso la classificazione molecolare di un tumore del polmone o della mammella prevede 30-40 parametri o informazioni differenti, tra cui anche quanto è grande. Poi compito del medico e dell'oncologo è anche vedere chi hai davanti. Altrimenti basterebbe un bel software e avremmo risolto tutto. C’è sempre una componente medica e clinica di dialogo col paziente che suppongo rimarrà, non vedo alternative".