
Secondo uno studio pubblicato su JAMA Network Open, l'uso di nirmatrelvir o molnupiravir è associato a riduzioni della mortalità e dei ricoveri ospedalieri nei pazienti infetti da Omicron, indipendentemente da età, razza ed etnia, ceppo virale, stato vaccinale, stato di infezione precedente o comorbilità. «Nirmatrelvir potenziato con ritonavir e molnupiravir costituiscono una terapia attualmente utilizzata negli Stati Uniti e in altri paesi per trattare pazienti non ricoverati in ospedale e affetti da COVID-19 da lieve a moderato, che sono ad alto rischio di progressione verso una malattia grave. Le associazioni di questi farmaci antivirali orali con ospedalizzazione e morte causate dall'infezione dalle nuove sottovarianti Omicron di SARS-CoV-2, in particolare BQ.1.1 e XBB.1.5, non sono però ancora ben note» afferma
Dan-Yu Lin, della University of North Carolina, Chapel Hill, USA, autore principale dello studio.
I ricercatori hanno cercato di colmare questa lacuna valutando i dati di pazienti che avevano ricevuto una diagnosi di COVID-19 presso la loro struttura durante il periodo in cui la variante Omicron si era evoluta da BA.2 a BA.4/BA.5, poi a BQ.1/BQ.1.1 e infine a XBB/XBB.1.5, e che erano ad alto rischio di progressione verso una malattia grave, con follow-up fino a 90 giorni dopo la diagnosi. Lo studio ha incluso 68.867 pazienti, 22.594 trattati con nirmatrelvir, 5.311 trattati con molnupiravir e 40.962 che non avevano ricevuto alcun trattamento. Entro 90 giorni dall'infezione da COVID-19 sono morti 30 pazienti gestiti con nirmatrelvir, 27 trattati con molnupiravir, e 588 nel gruppo senza trattamento.
«I nostri risultati suggeriscono che sia nirmatrelvir che molnupiravir possano essere utilizzati per trattare pazienti non ospedalizzati ad alto rischio di progredire verso una forma grave di COVID-19» concludono gli autori.
JAMA Netw Open. 2023;6(9):e2335077. doi:10.1001/jamanetworkopen.2023.35077
https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2809779