
I neuroscienziati della Facoltà di Medicina dell'Università Cattolica, campus di Roma, e della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs hanno scoperto che l'esercizio fisico intensivo potrebbe rallentare il decorso della malattia di Parkinson e ne hanno descritto i meccanismi biologici.
I risultati della ricerca, pubblicati su
'Science Advances', potrebbero aprire la strada a nuovi approcci non-farmacologici contro questa patologia neurologica. Oltre alla Cattolica e al Gemelli, hanno partecipato diversi istituti di ricerca: Università telematica San Raffaele Roma, Cnr, Tigem, Università degli studi di Milano, Irccs San Raffaele Roma.
La ricerca - grazie ai finanziamenti del Fresco Parkinson Institute to New York University School of Medicine and The Marlene and Paolo Fresco Institute for Parkinson's and Movement Disorders, del ministero della Salute e del Miur - ha individuato un nuovo meccanismo responsabile degli effetti positivi dell'esercizio fisico sulla plasticità cerebrale.
Lavori precedenti hanno dimostrato che l'attività fisica intensiva è associata ad un aumento della produzione di un fattore di crescita critico, il fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF). Lo studio, che ha come principali autrici le ricercatrici della Facoltà di Medicina e chirurgia della Cattolica
Gioia Marino e
Federica Campanelli - ha utilizzato diverse tecniche per misurare un effetto neuroprotettivo dell'esercizio fisico sul comportamento motorio e sulla cognizione visuo-spaziale. Le ricercatici sono state in grado di riprodurre questo fenomeno in risposta a un protocollo di allenamento del tapis roulant di quattro settimane in un modello animale di malattia di Parkinson in fase iniziale e di dimostrare, per la prima volta, come questo fattore neurotrofico determini gli effetti benefici dell'attività fisica nel cervello.
L'effetto principale, osservato in risposta all'allenamento giornaliero su tapis roulant per quattro settimane, è stato la riduzione della diffusione degli aggregati patologici di alfa-sinucleina, che nella malattia di Parkinson porta alla graduale e progressiva degenerazione delle cellule nervose di alcune aree cerebrali (la sostanza nera pars compacta e lo striato - la cosiddetta via nigrostriatale), deputate al controllo del movimento. Anche il controllo motorio e l'apprendimento visuo-spaziale, funzioni dipendenti dall'attività nigrostriatale, risultano intatte negli animali sottoposti ad allenamento intenso.
I neuroscienziati hanno anche scoperto che il BDNF(fattore neurotrofico cerebrale), i cui livelli aumentano con l'esercizio, interagisce con il recettore NMDA per il glutammato, consentendo ai neuroni nello striato di rispondere in modo efficiente agli stimoli,con effetti che durano nel tempo anche oltre l'interruzione dell'esercizio físico.
"La novità del nostro studio - sottolinea
Paolo Calabresi, corresponding author, professore di Neurologia all'Università Cattolica e direttore della Uoc Neurologia al Gemelli - risiede nell'aver scoperto un meccanismo mai osservato prima, attraverso cui l'esercizio fisico effettuato nelle fasi precoci della malattia induce effetti benefici sul controllo del movimento volontario, che possono durare nel tempo anche dopo l'interruzione dell'allenamento".
"In futuro, sarebbe possibile identificare nuovi bersagli terapeutici e marcatori funzionali da considerare per lo sviluppo di trattamenti non farmacologici da adottare in combinazione con le attuali terapie farmacologiche", ha aggiunto.
"Il nostro gruppo di ricerca - afferma Calabresi - è coinvolto in uno studio clinico per verificare se l'esercizio fisico possa rallentare la progressione della malattia di Parkinson nei pazienti in fase precoce e individuare nuovi marcatori in grado di seguire il decorso della patologia.Poiché la malattia di Parkinson è caratterizzata da importanti componenti neuroinfiammatorie e neuroimmuni, che svolgono un ruolo chiave nelle prime fasi della malattia, la ricerca proseguirà grazie all'apporto determinante dei modelli animali, che ci permetteranno di indagare anche il coinvolgimento delle cellule della glia, popolazioni cellulari che supportano l'attività dei neuroni, oltre a essere implicate nella risposta immunitaria. Ciò consentirà di identificare meccanismi molecolari e cellulari alla base degli effetti benefici osservati".