
Quanto può aiutarci la riforma della medicina territoriale ad estendere gli interventi contro la resistenza agli antibiotici, fenomeno che in tutto il mondo causa sempre più morti (4 milioni certi ogni anno) e vede l'Italia ultima in Europa per interventi messi in campo mentre siamo primi nell'uso di questi farmaci? E' il tema che è emerso in un incontro sull'antibioticoresistenza organizzato da Edra con il supporto di Roche al Centro Studi Americani a Roma. La senatrice Beatrice Lorenzin, ex ministro della Salute ed ora in Commissione Bilancio, individua tre fronti dove la politica deve agire: educazione dei pazienti a prevenzione e vaccini, maggiore attenzione negli ospedali ai processi di gestione del rischio, investimenti in ricerca guidati dal centro e non frammentati. Nel dibattito emerge un quarto tema: la diagnosi ante-prescrizione di antibiotici estesa ai medici del territorio.
Giovanni Rezza Direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute, ricorda che il nuovo Piano Nazionale per le Antibiotico Resistenze al vaglio delle regioni, oltre che di 40 milioni di euro, dispone di una cabina di regia centrale e prevede il rafforzamento delle reti di sorveglianza una delle quali oggi fa capo all'Istituto superiore di Sanità e l'altra è finalizzata al controllo degli enterobatteri. Ma in chiave preventiva potrebbero dare una mano anche una semplice conta dei globuli bianchi o il calcolo del valore della Pcr. E qui veniamo al nucleo centrale del problema: il test della proteina C reattiva "sotto casa" in Italia è un'occasione persa come puntualizza l'ex Dg AIFA Luca Pani, docente di farmacologia UniMoRe e di psichiatria all'University of Miami. Pani ricorda due cose: l'antibiotico seleziona i batteri peggiori (il meno vulnerabile è il clostridium difficile, invincibile dagli antibiotici) e la diagnostica per usarlo bene in Italia c'è solo negli ospedali. Come spiega Maurizio Sanguinetti past president della Società europea dei microbiologi ESCMID, «se un medico di famiglia cerca oggi una risposta di laboratorio ad un quesito se prescrivere o no antibiotici, la trova in ospedale perché nel 2022 su territorio italiano una rete microbiologica non c'è». «Il Piano nazionale di ripresa e resilienza - rincara Pierangelo Clerici, presidente dei microbiologi italiani di Amcli- ha finanziato imaging e telemedicina, ma sulla medicina di laboratorio (in un contesto dove infezioni come quelle urinarie presentano fino a un 20% di resistenze ndr), nulla ha messo».
I pediatri sembrano molto recettivi di fronte alla possibilità di prendere subito in carico forme di diagnostica precoce, dalla Pcr al test della procalcitonina che, come spiega Susanna Esposito (SIP) può meglio distinguere gli effetti chimici di un virus da quelli di un batterio aggredibile dall'antibiotico. Per i medici di famiglia SIMG, Ignazio Grattagliano sottolinea come «nei prossimi anni la prevenzione prenderà il 30-40% dell'attività. Ma per realizzare una diagnostica nell'ambito di una gestione epidemiologica abbiamo bisogno di strumenti come la telemedicina e di personale che ci aiuti, a cominciare dagli infermieri. Sappiamo quanto siano pochi». E le farmacie territoriali? Come hanno rivestito un ruolo chiave nell'offrire tamponi e vaccini durante il Covid, spiega Marco Cossolo, Presidente Federfarma, possono offrire il test Pcr ante-prescrizione con prelievo di sangue capillare e- sviluppando la legge 159-la telemedicina di cui sono in corso prime sperimentazioni nelle farmacie rurali. Clerici invita però i farmacisti a fare sempre riferimento ad attrezzatura e supervisione suggerite dal microbiologo clinico.
Dalla diagnostica alla ricerca, Francesco Scaglione oncologo direttore dei Quaderni della Società Italiana di Farmacologia sottolinea che ci sono almeno 50 principi attivi in rampa di lancio, ma spesso sono sviluppati da start-up che in qualche caso non trovano industrie disposte a sostenere la commercializzazione, non solo per via di dubbi sui margini di utile ma anche perché a volte, complice l'abuso di antibiotici, il batterio è così rapido nel cambiare che dopo poco il farmaco diventa obsoleto, trovando il ceppo resistente sulla sua strada. A contribuire all'abuso, il fatto che per contenere i costi si continuino a sviluppare evoluzioni di vecchi farmaci anziché sviluppare nuove linee. Peraltro, aggiunge Marco Falcone presidente degli igienisti Simit, il danno del mancato sviluppo di antibiotici si vede quando l'infezione causa decessi tra malati di altre patologie, trattati con farmaci innovativi costosi, ma con un sistema immunitario in difficoltà.
Se non è possibile evitare che si creino ceppi resistenti di batteri, si può contenere la diffusione, spiega Francesco Menichetti del Gruppo Italiano per la stewardship antimicrobica Gisa, a partire dagli ospedali, con sistematici infection control. «Il 30% delle infezioni ospedaliere -dice Menichetti- si può prevenire con misure già presenti in indicazioni che dovrebbero essere utilizzate correntemente ma che nei nostri ospedali si applicano a macchia di leopardo. Ad esempio, si può e si deve evitare che vi siano reparti privi di dati microbiologici su pazienti isolati e loro profilo di resistenza. Ma per avere risultati ulteriori i servizi sanitari devono investire di più».