Governo e Parlamento
09/06/2022

Covid-19, dalla salute mentale al diabete rischi e conseguenze nei mesi successivi all'infezione. Ecco quali sono

Gli effetti del Covid non sono strettamente legati al periodo della positività, ma hanno conseguenze anche nei mesi successivi. Ne è esempio il rischio del 25% superiore, rispetto ad altre infezioni delle vie respiratorie, di sviluppare un disturbo psichiatrico nei 4 mesi successivi all'infezione. Lo rivela una ricerca condotta presso la Oregon State University e pubblicata sulla rivista World Psychiatry. Per lo studio i ricercatori hanno utilizzato i dati della National COVID Cohort Collaborative (N3C) per abbinare 46.610 persone positive al SARS-CoV-2 con pazienti di controllo a cui era stata diagnosticata un'altra infezione delle vie respiratorie. I ricercatori hanno esaminato il tasso di diagnosi psichiatriche per due periodi di tempo: da 21 a 120 giorni dopo la diagnosi di COVID e da 120 a 365 giorni dopo la diagnosi, considerando solo i pazienti senza pregresse malattie mentali. Così hanno scoperto che i pazienti COVID hanno un rischio di sviluppare un disturbo psichiatrico del 25% superiore rispetto ai pazienti reduci da altre infezioni del tratto respiratorio. L'ampia dimensione del campione ha fornito ai ricercatori una visione unica sugli effetti collaterali post-COVID sulla salute mentale, ha detto la coautrice Lauren Chan, del College of Public Health and Human Sciences dell'OSU. I risultati indicano la necessità, sia per i pazienti sia per gli operatori sanitari, di non trascurare i problemi di salute mentale che possono insorgere dopo il COVID.

Altro problema grave riguarda la raccolta di sangue, drasticamente diminuita con l'avvento del Covid. Secondo le elaborazioni del Centro nazionale sangue l'anno scorso i donatori di sangue e plasma in Italia sono stati 1.653.268. È un dato che grazie alla generosità del popolo dei donatori torna in ripresa rispetto all'anno precedente, ma è ancora inferiore rispetto al periodo pre-Covid e, purtroppo, invecchia, non rinnovato dall'ingresso di giovani donatori. In sostanza viene confermata una lieve tendenza al ribasso che dura ormai da circa dieci anni. Rispetto al 2012 infatti la popolazione dei donatori è diminuita di circa il 5% e se, nei cinque anni pre-Covid, il dato era stato sostanzialmente stabile, il diffondersi della pandemia di Sars-Cov-2 ha colpito duramente il sistema trasfusionale. Purtroppo, neanche i numeri del 2022 fanno ben sperare. I dati di aprile hanno mostrato, in particolare per la raccolta di plasma, un nuovo calo che con ogni probabilità porterà a un inizio anticipato delle carenze di sangue che ogni anno si registrano in estate, quando le alte temperature e le vacanze, spingono la popolazione italiana a donare di meno. Diverso il discorso per quel che riguarda il plasma. Anche quest'anno, infatti, per soddisfare il fabbisogno nazionale di medicinali plasmaderivati, si è stati costretti a ricorrere al mercato internazionale. Un mercato segnato dal rincaro dei prezzi a causa delle difficoltà riscontrate nella raccolta anche negli Stati Uniti, principale attore in tale ambito.
Va ancora sottolineato che nel 2021, indicano i dati del Cns, «non è mancato l'apporto della popolazione dei donatori che hanno confermato, dopo più di due anni di pandemia, quella generosità e quella affidabilità che ha permesso al sistema trasfusionale di reggere anche la più inaspettata delle emergenze. Ma i numeri sottolineano ancora una volta il dato del progressivo invecchiamento della popolazione dei donatori, a cui non fa da contraltare un adeguato ricambio generazionale», si legge in una nota. Chiaro sintomo del problema è il numero dei cosiddetti nuovi donatori, ovvero le persone che nel corso del 2021 hanno donato il sangue per la prima volta o lo hanno fatto dopo oltre due anni dall'ultima donazione, che sono stati 267.949.

Uno studio presentato come poster all'82a sessione scientifica dell'American Diabetes Association ha dimostrato che il diabete è un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo di Long Covid, una gamma di sintomi post infezione da Covid-19 come nebbia cerebrale, problemi della pelle, depressione e mancanza di respiro. Aumenta il rischio di svilupparlo fino a quattro volte. «Col passare del tempo - evidenzia Jessica L Harding, autrice principale della ricerca - stiamo assistendo agli impatti negativi che il Long Covid ha sulla vita quotidiana. Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche, ora sappiamo che i pazienti con diabete dovrebbero essere attentamente monitorati. Un attento monitoraggio dei livelli di glucosio negli individui a rischio puo' aiutare a mitigare il rischio in eccesso e ridurre l'onere dei sintomi persistenti che inibiscono il loro benessere generale». Al fine di determinare l'impatto del diabete sullo sviluppo di Long Covid, la ricerca ha incluso tutti gli studi osservazionali sottoposti a revisione paritaria pubblicati in inglese tra il 1 gennaio 2020 e il 27 gennaio 2022. I risultati hanno evidenziato che il 43% degli studi ha identificato il diabete come un potenziale fattore di rischio. Tuttavia, la conclusione è risultata limitata dall'eterogeneità degli studi, dai gruppi a rischio e dai tempi di follow-up.
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