
È finito il tempo in cui un medicinale curava una sola malattia a un certo prezzo, per il paziente o per il servizio sanitario. Oggi ci sono principi attivi con indicazioni per più malattie, e con efficacia diversa a seconda dell'indicazione. E ci sono nuove categorie farmacologiche dirette su geni che codificano per diverse patologie e diversi organi. I loro effetti diversificati, come è emerso al webinar EDRA "value based pricing in multi-indication drugs", rompono gli schemi utilizzati dalle Agenzie nazionali del farmaco per stabilire i prezzi delle terapie. Le agenzie AIFA, EMA, FDA devono prepararsi su schemi diversi a spuntare prezzi ragionevoli e nel contempo a rendere un nuovo ritrovato accessibile ai malati, evitando quanto purtroppo è avvenuto di recente in Europa per alcune terapie geniche non autorizzate in quanto troppo costose. Per affrontare il nodo dei costi dei farmaci multi-indicazione, l'Unione Europea ha istituito un Office of Health Economics; in Italia la sfida è stata raccolta da un gruppo di lavoro indipendente formato dall'ex DG dell'Agenzia del Farmaco
Luca Pani, con il Presidente della Società Italiana di Farmacologia
Giorgio Racagni, l'economista di SDA Bocconi
Claudio Jommi, due esperti di Health Technology Assessment quali
Francesco Saverio Mennini (SIHTA) ed
Amerigo Cicchetti (Altems) oltre ad oncologi (
Enrico Mini), immunologi (
Giuseppe Nocentini), esperti di malattie rare (
Anna Maria De Luca), ed il contributo di Edra.
Il punto di partenza è nella negoziazione del prezzo dei nuovi farmaci: va rivista ogniqualvolta si aggiunge o si modifica un'indicazione, come spiega l'economista Claudio Jommi. «Non è corretto modificare il prezzo in relazione alla crescita della popolazione target: si deve misurare il valore che per ogni indicazione la commercializzazione del prodotto genera, o può generare. Va costruito perciò un framework di valore sulla base di specifici indicatori e tali valori vanno confrontati con quelli generati dalle alternative terapeutiche se presenti». In altre parole, vanno misurati vantaggio terapeutico ed economico. Da una parte si deve calcolare quali costi - diretti ed indiretti - eviti alla collettività il farmaco una volta commercializzato, con minori costi del sistema in termini di cure e giornate recuperate al lavoro dal paziente guarito. Dall'altra va misurato il valore aggiunto, il miglioramento della salute». Ma come operare nel rivedere il prezzo di un farmaco "multi-tasking"? Per Jommi, «non appare indicato il modello di dare un valore diverso per ogni indicazione. Va invece considerata la possibilità di rinegoziare il prezzo in relazione a tutte le indicazioni ponderando il valore aggiunto della terapia per ciascuna di esse, o di parametrare tale valore aggiunto a dati contingenti quali l'esistenza di alternative terapeutiche o la disponibilità del produttore a concordare sconti». In Italia, questi approcci sofisticati sono stati posti in essere ma non decollano, per Jommi soprattutto «la presenza di tetti alla spesa farmaceutica frena la spinta a valutare le indicazioni ulteriori di un principio in commercio ed incentiva l'approccio "a sylos", one disease-one drug».
A valle va anche considerato l'impatto del nuovo farmaco sulla spesa, sia nel breve sia nel medio e lungo periodo. Come spiega Mennini, della Società Italiana Health Technology Assessment, «la value based health care -che rappresenta in un rapporto da una parte gli esiti raggiunti da una sanità e dall'altra i costi diretti ed indiretti investiti per erogare la prestazione - si pone l'obiettivo di ottenere maggiori esiti di salute con un minor consumo di risorse, affonda le radici in teorie economiche note, ma in questo campo dice qualcosa di nuovo, nella negoziazione dei prezzi introduce la misurazione degli impatti di un farmaco in più terapie e sostituisce l'approccio a sylos con quello per popolazione». Mennini aggiunge un terzo aspetto: alla sanità non mancano risorse ma a volte la volontà di indirizzarle, frutto di scelte politiche. In altre parole, alla politica bisogna offrire dati inoppugnabili e per questo c'è l'Health Technology Assessment». Mennini insiste sul valore della cura sull'impatto della malattia vista dal paziente e dalla collettività cui i malati sono sottratti. A monte della trattativa, «va effettuata una valutazione accurata sul burden of disease. L'approccio Hta permette anche di effettuare il monitoraggio nel tempo, la tracciatura delle informazioni sulla terapia e consente di cambiare decisioni, aggiustare parametri, introdurre variabili dovute all'ingresso di nuovi farmaci analoghi». Pani aggiunge che è cruciale disporre di una epidemiologia della malattia, «molte volte l'Aifa nei 5 anni della mia direzione ha dovuto negoziare senza conoscere il dato di popolazione target e vedendoselo proporre arrotondato per eccesso, una scelta che poi asseconda nella controparte la logica dell'imposizione di tetti». Amerigo Cicchetti presidente di Altems, l'alta scuola di formazione in sanità dell'Università Cattolica, avverte che il cambio di scenario nei modelli di negoziazione in medicina va affrontato allargando le competenze delle agenzie regolatorie, un campo dove l'Italia ha una leadership e deve mantenerla. «L'Italia -sottolinea Pani -dispone di un intreccio di competenze unico nell'Agenzia del Farmaco la quale, caso raro tra le agenzie regolatorie, come istituzione contempla sia le funzioni autorizzative dei nuovi principi attivi sia quelle per determinarne i prezzi».