
Connettere i centri che seguono il
paziente oncologico o ematologico bisognoso di terapie avanzate in modo da contingentare viaggi della speranza e ottimizzare i consulti tra specialisti del tumore e dell'organo: è l'obiettivo della piattaforma WelCare. Uno strumento tecnologico su scala nazionale finanziato da Novartis e rivolto a mettere in linea i 25 centri abilitati per la somministrazione di terapie con cellule CAR-T e tutti i centri oncologici, ematologici, specialistici ospedalieri dove sono trattati i malati-target di quelle terapie: pazienti con leucemia, mieloma, mielofibrosi, mastocitosi, patologie ematologiche, tumore della mammella e melanoma. Il raggio d'azione potrebbe estendersi ad altre malattie, come è stato spiegato al webinar "la salute connessa" introdotto dal coordinatore delle Regioni
Massimiliano Fedriga e dalla vicepresidente della commissione sanità del senato
Paola Boldrini, e accompagnato da dati dell'osservatorio Innovazione in Sanità del Politecnico di Milano, che testimoniano il boom della telemedicina in pandemia.
Lo scorso anno è raddoppiata o triplicata la percentuale di chi tra i medici specialisti intervistati usa teleconsulto (dal 21 al 47%), televisita (dal 13 al 39!) e telemonitoraggi (dal 13 al 28%). Triplicato anche l'uso della telemedicina tra i pazienti dall'11 al 30% e tra quelli curati con piattaforme 82 su 100 oggi dichiarano di voler usare questi strumenti anche in futuro. Per restare ai tumori, come spiega
Saverio Cinieri, presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica, la rete tra oncologi ed ematologi risale a prima del Covid-19, ma se fino a qualche tempo fa oncologo e specialista d'organo si relazionavano per telefono nei consulti, la telemedicina consente uno scambio di informazioni crescente, vetrini per le diagnosi, «e di criticità non ce ne sono salvo la necessità in prospettiva di normare amministrativamente questa modalità di lavoro. C'è inoltre la chance di coinvolgere il paziente, con l'avvertenza di non eliminare quanto abbiamo fatto in oncologia per umanizzare in questi anni il rapporto con i malati».
Fabrizio Pane primario di ematologia all'Università Federico II di Napoli, entra nello specifico della terapia CAR-T che modifica dei linfociti dei malati ematologici reingegnerizzandoli in un laboratorio estero e reindirizzandoli contro il tumore attraverso infusioni che avvengono nei centri autorizzati; «sembra una missione facile a raccontarla, ma non tutti i centri ematologici hanno tecnologia e qualificazione e personale per certificarsi all'uso della terapia CAR-T e il sistema hub-spoke che si è creato con questa piattaforma consente a chi è seguito nella divisione ematologica periferica di fruire di terapie altrimenti inaccessibili, e con la massima efficienza (anche negli spostamenti necessari, ndr)».
Antonio Gaudioso, presidente di Cittadinanzattiva, spiega che ci sono ancora importanti passaggi da costruire: non solo l'attenzione delle istituzioni a normare la sanità digitale, ma anche l'intenzione della parte pubblica di portare a regime, come livello essenziale di assistenza, le conquiste tecnologiche avvenute in questi 15 mesi di pandemia nella gestione dei pazienti. E c'è da affrontare tutto il capitolo della mancata (fin qui) codifica uniforme a livello nazionale e regionale delle prestazioni e persino delle patologie. Gaudioso ricorda infine che le tecnologie nascono «non per sostituirsi al medico e disintermediare con il paziente, ma per integrare il rapporto tra medico e paziente».
Nell'indagine dall'Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano presentata dal responsabile
Paolo Locatelli emerge che la società italiana è pronta ad accogliere con il massimo interesse i device individuali di e-health, il 50% degli intervistati ne fa uso corrente, il 42% dice che le app lo supportano nell'aderire alle terapie, e oltre sei medici su dieci vorrebbero usare televisite e telemonitoraggi. In oncologia l'Osservatorio Polimi sta per far partire un'indagine per misurare con outcome di qualità di cura e di esito gli effetti dell'uso delle apps, attraverso un'indagine su 10 strutture che coinvolge clinici ma anche manager della sanità ed interlocutori a diverso titolo.
Tra le testimonianze dei politici, l'assessore Sanità Emilia Romagna
Raffaele Donini menziona il Progetto di Telemedicina regionale, dagli Appennini al resto del territorio, con 16 centrali istituite in 6 Ausl, e cita la grande aspettativa della sua regione sul Recovery Plan per il potenziamento delle presenti case di comunità. Massimiliano Fedriga, che è presidente del Friuli Venezia Giulia, sottolinea come l'assistenza in remoto sia la vera scommessa del Recovery Plan: non solo essa garantisce un'assistenza continuativa di cui fruiscono i territori più svantaggiati anche economicamente, ma «il monitoraggio costante del paziente alleggerisce il Ssn da prestazioni sulle cronicità ed evita riacutizzazioni, contiene la mobilità di pazienti in cerca di cure, consente di organizzare l'assistenza in modo multidisciplinare mettendo in rete medici e professioni sanitarie. Urgono però un investimento infrastrutturale a livello di tutto il paese, una digitalizzazione inclusiva, la capacità anche dei medici di medicina generale di fare sistema con tutto il resto del sistema sanità grazie al contatto con gli specialisti».
Mauro Miserendino