A un anno dall’approvazione del Decreto Legge 73/2024 sulle liste d’attesa, solo tre dei sei decreti attuativi previsti sono stati pubblicati. Mentre l’iter normativo resta incompleto, aumentano le rinunce alle prestazioni sanitarie: nel 2024 quasi sei milioni di persone hanno rinunciato ad almeno una visita o esame, quattro milioni di queste a causa dei lunghi tempi d’attesa (+51% rispetto al 2023). È quanto emerge dal monitoraggio pubblicato dalla Fondazione Gimbe.
Secondo il report, dei sei decreti attuativi previsti, tre sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale tra aprile e maggio 2025, seppur con mesi di ritardo. Uno è scaduto da oltre nove mesi e altri due non hanno una scadenza definita. “Il carattere di urgenza del provvedimento si è rivelato incompatibile con la complessità tecnica e politica degli atti richiesti”, afferma Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe.
Tra i decreti mancanti, quello relativo all’esercizio dei poteri sostitutivi è considerato il più critico: il conflitto tra Governo e Regioni ha rallentato l’iter, nonostante i tentativi di mediazione istituzionale. Anche le linee guida per migliorare le agende Cup e la metodologia per stimare il fabbisogno di personale risultano ancora non calendarizzate.
Quanto alla piattaforma nazionale per il monitoraggio delle liste, prevista dal decreto, i dati sono ancora parziali e non pubblicamente accessibili. La presentazione ufficiale è avvenuta il 22 maggio scorso con dati anonimi di tre Regioni. “Manca una base dati verificabile che consenta di valutare l’efficacia della misura. Al momento non ci sono evidenze che i tempi di attesa si stiano riducendo”, osserva Cartabellotta.
Il monitoraggio Gimbe analizza anche i dati Istat sulle rinunce alle prestazioni. Nel 2024 il 9,9% della popolazione ha dichiarato di aver rinunciato ad almeno una visita specialistica o esame diagnostico. La motivazione più citata riguarda i tempi di attesa (6,8% della popolazione, pari a circa 4 milioni di persone), seguita da problemi economici (5,3%, circa 3,1 milioni). Rispetto al 2023, le rinunce per tempi di attesa sono aumentate del 51%, quelle per motivi economici del 26,1%.
Il fenomeno, secondo Gimbe, non presenta più significative differenze territoriali: i tassi di rinuncia sono simili al Nord (9,2%), Centro (10,7%) e Sud (10,3%). “L’aumento interessa tutto il Paese e anche le fasce un tempo meno colpite, come i residenti del Nord o le persone con un più alto livello di istruzione”, sottolinea Cartabellotta.
Per la Fondazione, ridurre i tempi d’attesa richiede interventi strutturali: investimenti sul personale, riforme organizzative, digitalizzazione e contrasto alla domanda inappropriata. “Le liste d’attesa non si eliminano per decreto: sono il sintomo di un Ssn indebolito. Se non si interviene sulle cause sistemiche, il rischio è di trasformare il diritto alla salute in un privilegio”, conclude Cartabellotta.