Se va avanti così non ci saranno più specialisti per coprire l’assistenza nei reparti di medicina interna e in pronto soccorso.
A lanciare l'allarme sono gli internisti della Simi, la Società italiana di medicina interna, in vista del loro 125esimo Congresso nazionale in programma a Rimini dal 20 al 22 ottobre.
Un problema serio, sottolineano, visto che i reparti di medicina interna e di chirurgia generale sono la colonna portante anche degli ospedali più piccoli. Quest’anno, continua la nota, la medicina interna ha assegnato solo il 79% delle borse di specializzazione e mentre il turn over dei medici diminuisce, aumenta di pari passo il loro burn out. Nel frattempo, il pubblico manifesta un’ostilità crescente nei confronti dei camici bianchi e del personale sanitario, soprattutto al pronto soccorso e nei reparti.
Medici e infermieri sono sempre più i punchball della rabbia dei cittadini, la prima e più vulnerabile interfaccia di una sanità sempre più inadeguata a dare le risposte attese. Ma si tratta di un fenomeno non del tutto nuovo. “Nel 2022 il Ministero della Salute ha istituito un ‘Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti delle professioni sanitarie’ – ricorda il professor Gerardo Mancuso, vice-presidente della Società Italiana di Medicina Interna SIMI – con lo scopo di monitorare il fenomeno e promuovere delle garanzie. Sulla base di questa attività, nel 2023 sono stati registrati 16 mila casi di violenza (2/3 di tipo verbale, il 26% di tipo fisico) ai danni degli operatori sanitari. Quelli maggiormente interessati da episodi di violenza sono stati gli infermieri, seguiti dai medici e dagli operatori socio-sanitari e in due casi su tre la violenza è stata perpetrata ai danni di donne (ma al sud prevalgono i casi di violenza sui maschi).
Le conseguenze di questi atti di violenza, oltre a quelle di ordine fisico, sono la comparsa di sintomi depressivi, di burn-out e la perdita di serenità sul lavoro, che può impattare sulle performance medico-infermieristiche.
Una sanità in burn out dunque, per quanto concerne chi è già dentro il sistema e sempre meno attrattiva per le nuove leve, come racconta la storia delle tante borse di specializzazione che non vengono assegnate in seguito al concorso annuale. “Le cause di questo fenomeno – sostiene il professor Mancuso – sono tante e vanno ricercate nei carichi di lavoro eccessivi, negli stipendi inadeguati al costo della vita ma soprattutto al tipo di responsabilità e di impegno che il lavoro di medico e di infermiere comportano, nelle difficoltà di carriera. Lavorare in ospedale in Italia oggi significa una vita di grandi sacrifici per uno stipendio che è inferiore fino al 40-50% rispetto ad altri Paesi europei, come la Francia. Ma differenze importanti si riscontrano anche tra il Nord e il Sud d’Italia; chi lavora in un ospedale del Nord-Est lavora molto di più che in quelli del Sud e questo genera una migrazione di personale medico e infermieristico che va ad impoverire sempre più il Sud”.