Prescrivere un farmaco in ricetta sulla base di quanto fa bene ma anche di quanto poco costa alla natura? Una sfida possibile a patto di poter misurare il costo in questione. A sostenerla saranno i professionisti sanitari in accordo con i pazienti. Accanto al Servizio sanitario e a chi produce o distribuisce farmaci, tecnologia biomedica e medical device, c’è un terzo attore che deve stare attento ai processi ambientali ed è chi nelle strutture del Servizio sanitario o da esso accreditate trasforma le tecnologie in processi di cura. Asl, ospedali, ambulatori e laboratori, pubblici o convenzionati con il Ssn, dovrebbero monitorare l’impronta ecologica delle tecnologie che usano o che stanno per usare se un’agenzia istituzionale le approverà.
L’Italia ha in qualche caso calcato questo campo. L’edilizia è al centro dei progetti che soddisfano gli standard comunitari di Green Public Procurement: per i nuovi edifici pubblici, provvedimenti concordati tra i ministeri di Ambiente, Transizione Ecologica, Sviluppo, Imprese richiedono il rispetto di Criteri Ambientali Minimi – ad esempio, consumi energetici ridotti, risparmio idrico, limitato inquinamento indoor – e Criteri Ambientali Premianti in caso di adozione di standard nuovi. Si tratta di “aspetti” che devono valere in primo luogo per la costruzione di un ospedale o di una casa della salute. Ma usare indicatori di altre filiere, pur misurabili, non basta. Servirebbero indicatori specifici per un mondo complesso come quello delle sanità. A livello internazionale esistono progetti per approdare a nuovi indicatori condivisi. Il “policy brief” di Care2Cure cita il progetto “Operation Zero Project” per consentire agli enti sanitari e alle istituzioni dei servizi sanitari di misurare le emissioni sanitarie sia dei processi di cura e di stabilire percorsi di decarbonizzazione utilizzabili anche nel settore farmaceutico. Inoltre, il documento cita la Quick guide to climate-smart procurement che –sempre in Europa- propone best practices per ridurre l’impatto ambientale proveniente da edifici ospedalieri, prodotti farmaceutici e dispositivi monouso.
Solo in tempi recenti il nostro ordinamento ha adottato norme e principi in grado di coinvolgere interi settori economici e le popolazioni da essi interessati. Nel 2022 sono stati inseriti in Costituzione all’articolo 9 la tutela di ambiente, biodiversità ed ecosistemi “anche nell’interesse delle future generazioni” e all’articolo 41 la possibilità da parte pubblica di varare politiche capaci di “indirizzare e coordinare l’attività privata a fini sociali ed ambientali”. Sempre dal 2022, ma a regime dal 2026, il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina alla Missione 2, “Rivoluzione Verde”, quasi 60 miliardi di euro di fondi europei che però s’indirizzano per lo più alla gestione dei rifiuti, all’incremento d’efficienza energetica degli edifici pubblici e all’uso di fonti rinnovabili. Più incisivi forse i 500 milioni di euro del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR, volti a fronteggiare i rischi per la salute dovuti ai cambiamenti ambientali. Il Piano Nazionale Prevenzione 2020-25 per la prima volta introduce un approccio “one health” che chiede agli igienisti e a chi persegue politiche vaccinali un’attenzione su tre fronti: uomo, natura, ambiente.
Per estendere un simile approccio a tutti i processi sanitari, il Documento di Care2Cure auspica un cambiamento culturale che coinvolga sia i professionisti sanitari che i cittadini. I primi d’ora in avanti devono essere formati sull’importanza di considerare la sostenibilità ambientale nella scelta delle opzioni terapeutiche. Per far questo, saranno chiamati ad integrare corsi specifici nei programmi di formazione continua. I cittadini e i pazienti devono essere sensibilizzati sull’importanza della sostenibilità ambientale nelle pratiche sanitarie, sull’esistenza di farmaci sostenibili e sui loro benefici per la salute planetaria. Il cambiamento delle terapie in senso “ambientalista” prevede l’uso di quantità minori di principi attivi, specie nelle cronicità, ad esempio attraverso trattamenti che richiedano somministrazioni meno frequenti rispetto alla somministrazione giornaliera.
Ineludibile infine incentivare il riciclo. Nell’ambito del progetto “Take back: ReMed” lanciato da Novo Nordisk in Danimarca, Giappone, Francia, Inghilterra e in tre città italiane (Parma, Torino e Bologna) si prevedono raccolta, stoccaggio e riciclo dei device da insulina, penne in plastica monouso, nelle farmacie territoriali. Nell’intento di non buttare via niente, i dispositivi raccolti sono immagazzinati, lavorati e utilizzati per creare altri oggetti. Tutti questi progetti vanno messi a sistema, per evitare che l’inquinamento non cresca di pari passo con il progresso tecnologico ma al contrario fare in modo che più tecnologia generi più salute.
Il documento completo è consultabile qui