
Limitare la distribuzione per conto, circoscrivere la distribuzione diretta, ricorrere ove possibile alle farmacie convenzionate: la dispensazione dei farmaci nell'era della medicina di prossimità evocata dal Piano Nazionale di Ripresa e resilienza si ridisegna in Parlamento. Le audizioni in Commissione Affari Sociali alla Camera evidenziano che eccedere negli acquisti diretti per le regioni è una forma di esercizio di autonomia, anche contabile, ma può rendere difficile l'accesso ai farmaci dei residenti, incidere sul diritto alla salute dei cittadini, e in certi casi essere dettata da intenti diversi rispetto a quello di ottimizzare le terapie per la collettività.
Claudio Jommi SDA Bocconi e
Guido Pammolli, alla Camera in Commissione Affari Sociali, approfondiscono i temi di dibattito lanciati in autunno dal Presidente della Fondazione ReS Nello Martini, già Direttore Aifa: il Servizio sanitario probabilmente farebbe bene a dirottare sulle farmacie territoriali farmaci che oggi compra direttamente dai produttori, oltre che a non smantellare la distribuzione diretta a vantaggio della distribuzione per conto (dove il Ssn acquista, gira alla farmacia e quest'ultima dispensa in cambio di un "fee" variabile da regione a regione); peraltro, la distribuzione diretta andrebbe limitata a medicinali difficili da gestire perché pericolosi o complessi da somministrare.
Per Jommi, la distribuzione per conto (DPC) va vista come eccezione della distribuzione diretta (DD), da usare ad esempio dove c'è la possibilità di gestire l'impatto organizzativo mentre si guarda al passaggio della specialità alla farmacia convenzionata. Esistono già oggi spazi per distribuire "sotto casa" farmaci prescritti dai medici di medicina generale ma fin qui accessibili in ospedali e farmacie delle Asl. Certo, occorre prima verificare la tenuta del tetto della spesa del servizio sanitario in caso di "switch"; in merito, è attesa la riforma della remunerazione delle farmacie, le cui tariffe saranno improntate a retribuire l'atto professionale includendo un margine, similmente a quanto avviene oggi nella DPC. Attenzione, però: nella distribuzione per conto, le tariffe sono diverse da una regione all'altra; nella convenzionata le divergenze tariffarie territoriali andranno evitate; e si dovranno trovare modalità con cui il Ssn recuperi almeno in parte le scontistiche sui prezzi di cui oggi fruisce. Altro elemento messo in evidenza dall'analisi di Jommi: ci sono comunque vantaggi, anche economici, nel passaggio di farmaci alla distribuzione convenzionata. Se è vero che il prezzo massimo di cessione al Ssn operato dalle farmacie comporterebbe un aggravio di spesa pubblica rispetto a DD e DPC, è anche vero che i calcoli delle regioni acquirenti, in genere non tengono conto dei costi indiretti, che includono viaggi dei pazienti verso l'ospedale per ottenere il farmaco, e delle ore di assenza correlate.
Docente di Economia e Management al Politecnico di Milano, Pammolli aggiunge altri dettagli: molte variabili in realtà assottigliano il risparmio derivante dagli acquisti diretti. In alcuni casi la decisione di rivolgersi all'acquisto diretto rispetto alla distribuzione nelle farmacie convenzionate determina aggravi di spesa amministrativa, ed aumenti dei costi fissi per la gestione e lo stoccaggio. Tra l'altro, alcuni trasferimenti di farmaci dalla spesa convenzionata a quella diretta del Ssn sembrano determinati non dalla volontà di massimizzare il servizio ai cittadini bensì da contingenze, ad esempio legate a disavanzi di spesa nelle singole regioni. Pammolli punta il dito sugli effimeri guadagni di breve periodo legati ai calcoli relativi al pay-back, dove industria e regione concorrono metà ciascuna al ripiano degli sforamenti dei tetti tanto per la farmaceutica convenzionata quanto per la spesa per acquisti Ssn. «Ci sono evidenze e motivazioni per ritenere che alcuni incrementi di distribuzione diretta e DPC non siano frutto di analisi costi-benefici e di interventi per l'efficienza del servizio, ma di valutazioni diverse». Valutazioni che poi finiscono per disarticolare l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza tra una regione e l'altra. Recenti sentenze della Corte Costituzionale, come la 168/2021, mettono in relazione le scelte di spesa sanitaria regionali e il diritto alla tutela della salute e "invocano" protocolli scientificamente accreditati a valenza nazionale per realizzare i livelli essenziali di assistenza. «Servirebbe, attraverso l'aggiornamento di tali protocolli, costruire un perimetro uniforme per tutte le regioni entro il quale erogare la cura attraverso un determinato modello distributivo che di volta in volta privilegi ospedale o territorio. Questo, in parallelo alla ridiscussione dei margini di distribuzione delle farmacie».