Telemedicina, le istituzioni pubbliche iniziano a investire. Gabbrielli (Iss): prossimi passi tariffe e linee guida servizi
Dopo anni in cui sono rimaste agli ultimi posti in investimenti sul digitale, complice la pandemia, le istituzioni del governo centrale hanno iniziato a spendere ed a rivestire un ruolo più importante facendo da volano alla telemedicina. Francesco Gabbrielli, Direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto Superiore di Sanità, spiega a Doctor 33 come dalla sua creazione, avvenuta a giugno 2017, il Centro operi sia per creare nel Servizio sanitario un sistema pubblico di telemedicina capace di affiancare le regioni sia supportando le Asl sul campo nel migliorare, ampliare i loro servizi e crearne di nuovi. «Lavoriamo con crescente impegno per sostenere richieste dal mondo professionale. Tra i prossimi obiettivi: tariffare i servizi e dare indicazioni su come svolgerli correttamente nelle differenti specialità e nei vari ambiti assistenziali (medici, infermieristici, professioni sanitarie etc)».
Sul territorio, «Una telemedicina strutturata a livello uniforme farà molto di più di quanto avviene ora. Fin qui abbiamo sperimentato televisite e teleconsulti, prestazioni più elementari, ma si può fare di più, costruire una sanità proattiva fruendo di dispositivi ed architettura che prima non potevano esserci». In Italia, «Il punto di partenza è offrire servizi utili alle persone, secondo i criteri fondamentali di accessibilità, utilità, efficacia. Ma siamo all'inizio di nuove opportunità di cura: la telemedicina non deve servire solo ad evitare il viaggio del paziente in ambulatorio; deve curarlo in modo nuovo e migliore del passato. Ad esempio, ad evitare ad un paziente cronico seguito a casa aggravamenti e situazioni che oggi risolve in ospedale grazie alla possibilità di disporre dei suoi dati. Ciò si rivelerà un vantaggio innanzi tutto per i pazienti». L'intervista prosegue chiedendo come con i nuovi device indossabili e test domestici fai da te come cambierà il lavoro dei professionisti sanitari. «L'uso combinato di sensori, nell'ambiente circostante al paziente, addosso a lui o anche dentro di lui già oggi consente di trasmettere in tempo reale i dati registrati. Ma dall'altra parte serve un'organizzazione sanitaria in grado di raccogliere questi dati, farli elaborare dalle macchine (non è pensabile che medico od infermiere processino ogni numero ricevuto) e restituire solo il dato che interessa per condurre opportunamente il paziente. Il vero lavoro del professionista sarà progettare questi sistemi. Purtroppo - spiega Gabbrielli - i nostri professionisti oggi non sono formati a questa attività. È compito dell'università italiana impegnarsi a recuperare questo gap. Il professionista sanitario, del resto non può essere l'utente di un sistema creato da chi non ha conoscenze di medicina, ma deve usare sistemi che egli stesso ha contribuito a costruire». Certo, non si può pretendere che ogni medico abbia esperienze di progettazione, «ma nasceranno gruppi multidisciplinari per creare questi sistemi cui il medico parteciperà, fin dalle prime fasi della sua carriera». L'Italia purtroppo non brilla, in generale, in Europa per alfabetizzazione informatica: come formare quindi le basi per una trasformazione digitale? «In realtà non basta apprendere le questioni di interazione tra uomo e macchine digitali e misurare i relativi accrescimenti delle conoscenze in questo settore. Oltre agli aspetti logico formali matematici - afferma Gabbrielli - c'è una modalità di lavoro peculiare da apprendere a partire da zero. Se io consegno a un mio collaboratore un foglio da portare sulla scrivania in un'altra stanza e lui, giunto in quella stanza, non trova la scrivania, mette in atto un escamotage perché la consegna vada a buon fine: poggia il foglio in terra, me lo riporta, mi riferisce a posteriori di quali accorgimenti sono stati presi, prende una decisione che risolve il problema al meglio; il computer questo non lo fa, si ferma. Chi organizza servizi informatizzati deve prevedere cosa succederà o il software non sarà di aiuto. Occorrere apprendere un nuovo atteggiamento mentale verso i processi di lavoro, e questo è difficile da insegnare ma indispensabile per far funzionare il rapporto uomo-macchina».
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