Il fenomeno del “presenteismo” tra gli operatori sanitari positivi al Covid è aumentato progressivamente dal 2020 al 2024, raggiungendo il 15,2% nel 2024 rispetto all’1,4% del 2020. A rilevarlo è uno studio osservazionale pubblicato su JAMA Network Open, basato sui dati del progetto PREVENT (Preventing Emerging Infections Through Vaccine Effectiveness Testing), condotto su 3.721 operatori sanitari arruolati in 24 centri medici accademici degli Stati Uniti.
Nel periodo analizzato, il “presenteismo” è stato segnalato complessivamente dal 7,9% dei partecipanti. La prevalenza è aumentata anno dopo anno: 6,2% nel 2021, 7,2% nel 2022, 10,5% nel 2023, fino al massimo del 2024. La maggior parte dei soggetti aveva un’età compresa tra 18 e 49 anni (76,4%), era composta da donne (80,4%) e personale caucasico (78,3%). Le categorie più rappresentate erano gli infermieri (28,1%), seguiti dal personale amministrativo (12,6%), dagli assistenti medici (7,9%), dai medici in formazione (6,6%) e dai medici strutturati (4,5%).
Rispetto ai ruoli amministrativi o gestionali, il personale sanitario impegnato direttamente nell’assistenza risultava meno incline a lavorare durante l’infezione: medici in formazione (OR 0,09), infermieri (OR 0,22), assistenti medici (OR 0,26) e professionisti sanitari avanzati (OR 0,29). Al contrario, il presenteismo risultava associato a incarichi con contatto minimo con i pazienti (aOR 3,73) o contatto moderato (aOR 3,66), a titoli accademici elevati (aOR 1,90) e a un reddito superiore a 100.000 dollari (aOR 1,74). Una maggiore probabilità di recarsi al lavoro è stata osservata anche tra gli operatori non recentemente vaccinati (OR 1,56).
Per quanto riguarda i sintomi, condizioni come febbre, dispnea, cefalea, mialgie, nausea e affaticamento risultavano associate a una probabilità significativamente inferiore di “presenteismo” rispetto ai lavoratori con quadri più lievi.
Secondo gli autori, guidati da James Crosby, Università dell’Alabama a Birmingham, l’aumento osservato negli anni più recenti sarebbe legato a diversi fattori: crescente immunità della popolazione, ridotta virulenza delle varianti, accorciamento delle raccomandazioni per l’isolamento e diffusione del lavoro da remoto, che può aver favorito lo svolgimento di attività lavorative anche durante la malattia. Nell’analisi aggiustata, il calendario risultava direttamente associato al fenomeno, con un aumento del rischio nel 2023 (aOR 1,69) e nel 2024 (aOR 2,72) rispetto ai primi anni della pandemia.
Gli autori segnalano che il “presenteismo” ha rappresentato un fattore coinvolto in focolai ospedalieri e in strutture di lungodegenza, sottolineando come il virus continui a rappresentare un rischio rilevante per pazienti immunocompromessi e fragili, anche in una fase di ridotta gravità clinica generale.
Tra i limiti dello studio vengono indicati la scarsa rappresentatività etnica e di genere del campione e l’utilizzo di dati auto-riferiti, con possibile bias di segnalazione.