La manovra 2026 dedica nuove risorse alla sanità e apre a una stagione di assunzioni, ma le professioni del Servizio sanitario nazionale invitano alla prudenza: “i segnali non bastano”, è il messaggio che arriva da chi lavora ogni giorno negli ospedali, nei pronto soccorso, nei servizi territoriali. Tre voci diverse – CGIL, SIMEU e FNOPI – convergono su un punto comune: per affrontare il sottofinanziamento strutturale della sanità pubblica servono interventi più coraggiosi e una visione strategica di lungo periodo. La posizione più critica è quella della CGIL. La segretaria confederale Daniela Barbaresi parla di risorse “del tutto insufficienti” a recuperare gli anni di definanziamento del SSN. Sottolinea che la quota di Pil destinata alla salute resterà inadeguata e che, così com’è, la manovra “non consentirà né la reale valorizzazione del personale né un piano di assunzioni in linea con i bisogni del Paese”. Il sindacato chiede al governo uno scatto ulteriore: investimenti che riportino il finanziamento almeno al 7,5% del Pil e misure chiare per ridurre tempi d’attesa, disuguaglianze territoriali e rinunce alle cure, già oggi in crescita tra i cittadini.
Dal fronte dell’urgenza arriva invece un giudizio più sfumato ma non meno allarmato. Alessandro Riccardi, presidente della SIMEU, riconosce i primi segnali: un aumento delle indennità nei dipartimenti di emergenza e uno sblocco delle assunzioni a partire dal 2026. Tuttavia, avverte che il problema non può essere affrontato solo con numeri: la crisi del personale nasce da un settore che ha perso attrattività, mentre il pronto soccorso continua a essere sovraccaricato anche per l’assenza di un territorio capace di filtrare i bisogni. “Senza interventi strutturali sulla medicina territoriale – osserva – non si potranno mai far funzionare le Case e gli Ospedali di comunità e i PS continueranno a subire una pressione insostenibile”.
Più positiva la valutazione della FNOPI. La presidente Barbara Mangiacavalli apprezza l’aumento dell’indennità di specificità infermieristica e la tassazione agevolata sulle prestazioni aggiuntive, considerandole un riconoscimento concreto a una categoria spesso lasciata ai margini. Ma anche qui la soddisfazione è parziale: gli interventi economici, da soli, non risolveranno la carenza strutturale di infermieri né l’emorragia di professionisti verso l’estero o il settore privato. Per questo l’Ordine ribadisce l’urgenza di investire stabilmente in formazione, ricerca e nuovi modelli organizzativi che valorizzino il ruolo dell’infermiere nel territorio e nei percorsi di presa in carico.