Il trapianto di rene resta la terapia più efficace per la malattia renale cronica (MRC), in grado di ridurre in modo significativo mortalità e complicanze rispetto alla dialisi. È quanto ribadisce il nuovo Documento di indirizzo della Società Italiana di Nefrologia (SIN), presentato al 58° Congresso nazionale in corso a Riccione.
Secondo i dati illustrati dalla SIN, la MRC interessa circa il 10% della popolazione italiana, pari a quasi 6 milioni di persone. Tra queste, 50.000 sono in dialisi e 25.000 vivono con un rene trapiantato. Ogni anno, tuttavia, solo il 30% delle richieste di trapianto può essere soddisfatto.
La differenza di esiti clinici rimane netta: la mortalità annuale dei pazienti in dialisi è del 17%, contro appena il 4% nei trapiantati. Il trapianto renale migliora la sopravvivenza e la qualità di vita, riducendo le ospedalizzazioni e i costi a lungo termine per il sistema sanitario.
Nonostante i vantaggi documentati, l’Italia presenta un ritardo strutturale nei trapianti da donatore vivente, che rappresentano meno del 15% del totale, contro il 35% della media mondiale e oltre il 50% in Paesi come Norvegia e Stati Uniti. “Incrementare la quota di donazioni da vivente – evidenzia la SIN – è una delle priorità per ridurre le liste d’attesa e garantire accesso equo alla terapia”.
Il nuovo Documento SIN propone un modello nazionale di riferimento per uniformare criteri di valutazione, follow-up e percorsi pre- e post-trapianto, oggi ancora molto eterogenei tra le Regioni. L’obiettivo è migliorare l’equità d’accesso e promuovere la presa in carico multidisciplinare dei pazienti, dalla nefrologia territoriale ai centri trapianto.
Tra le raccomandazioni figurano inoltre il potenziamento dei programmi di donazione da vivente, il rafforzamento della rete nefrologica e un maggiore coinvolgimento del medico di medicina generale nella gestione dei pazienti in lista.
Il documento sarà ora trasmesso al Centro Nazionale Trapianti (ISS) come base di lavoro per le politiche nazionali nel settore. “Il trapianto di rene – sottolinea la SIN – non è solo una scelta terapeutica, ma un investimento clinico e sociale che aumenta la sopravvivenza, riduce la disabilità e restituisce autonomia ai pazienti con malattia renale cronica”.