Il dibattito sulla riforma dell’assistenza territoriale, che mira a trasformare i medici di medicina generale e i pediatri da liberi professionisti convenzionati a dipendenti del SSN, si fa sempre più acceso. Al di là delle implicazioni organizzative e sanitarie, la misura avrebbe un impatto economico dirompente sul sistema previdenziale dei camici bianchi. Se i medici venissero assunti direttamente dal SSN, i contributi previdenziali non andrebbero più all’Enpam, bensì all’INPS, secondo le regole previste per il pubblico impiego e questo porterebbe un taglio netto del 40% delle entrate contributive per l’Enpam.
Attualmente i circa 66.500 medici di medicina generale versano all’Enpam un’aliquota contributiva complessiva del 26%, suddivisa tra azienda sanitaria (10,375%) e medico (15,525%). A questa si aggiungono la Quota A, comune a tutti i medici, e la Quota B, pari al 19,5% di eventuali redditi professionali extra. Con l’ingresso nel SSN come dipendenti, questi contributi verrebbero invece destinati all’INPS. Tradotto in numeri: sui 3,7 miliardi di contributi annui incassati dall’Enpam, ben 1,8 miliardi provengono dalla sola medicina generale. Una perdita di queste proporzioni metterebbe seriamente a rischio l’equilibrio previdenziale dell’ente, riducendo drasticamente la capacità di coprire le pensioni già in essere e quelle future. Lo stesso presidente dell’Enpam, Alberto Oliveti, ha sottolineato in più occasioni che l’ente può garantire la sostenibilità a lungo termine solo se i medici di famiglia e i pediatri resteranno nell’ambito della libera professione convenzionata. In caso contrario, il sistema potrebbe non essere più in grado di sostenere i trattamenti pensionistici maturati da queste categorie.
Il quadro attuariale mostra già segnali di squilibrio: nel 2024 le entrate contributive della gestione medicina generale sono aumentate del 12,21%, anche grazie al versamento degli arretrati legati al nuovo contratto nazionale, ma le uscite per pensioni ordinarie sono cresciute del 15,98%, toccando quota 1,6 miliardi di euro. Complessivamente, la spesa pensionistica supera le entrate, con un rapporto contributi/pensioni pari a 0,90 (era 0,91 nel 2023), segno di un sistema che si regge su un equilibrio sempre più fragile. Il bacino attivo è ancora numericamente stabile, anche grazie all’ingresso dei medici fiscali e all’innalzamento dell’età pensionabile da 70 a 72 anni, ma è composto da professionisti con età media elevata: 61 anni per gli uomini, 57 per le donne. Inoltre, negli ultimi nove anni, il numero di nuove pensioni è cresciuto del 328%, un dato che rende difficile compensare le uscite con i nuovi ingressi. I medici di assistenza primaria sono oggi circa 37.000, con un reddito medio annuo di 113.000 euro per gli uomini e di 106.000 per le donne. I pediatri di libera scelta sono 7.000, in prevalenza donne, con redditi medi di 140.000 euro per gli uomini e 128.000 per le donne. Si tratta di numeri significativi per l’Enpam.