La legge sulle liste d’attesa portata avanti dal governo Meloni, passi o fallisca, potrebbe essere l’ultimo tentativo di riforma nazionale. Dietro la porta c’è l’autonomia chiesta da tante Regioni (non solo del Nord). La si vede “spingere” nei rilievi della conferenza degli assessori sul decreto, così sostanziali da rasentare la richiesta al governo di ritirarlo. Il Consiglio Nazionale Fnomceo si è appena pronunciato: le regole per le professioni sanitarie non possono essere affidate alle regioni, come invece potrebbe essere. La Consulta ha chiarito in numerose sentenze gli aspetti “indevolvibili”. Subito prima del voto della mozione si conclude la presentazione del rapporto Fnomceo-Censis, con due tavole rotonde moderate da Tommaso Labate. Nell’ultima in ordine di tempo, i rappresentanti dei sindacati medici chiedono il coraggio di schierarsi contro la politica. Lo fa Pierino Di Silverio, Anaao Assomed, in modo esplicito: «L’aziendalizzazione nel 1992 è stata un fallimento e non bisogna avere paura di dirlo, chi ha in mano le vite dei malati non deve temere di scendere in piazza, o scioperare». Dello stesso tenore gli interventi di Antonio Magi (Sumai, “con l’economicismo è a rischio il primato della persona”), Guido Quici (Cimo Fesmed, “la salute è volano di tutte le altre attività sociali, di fronte a scelte economiciste abbiamo il dovere di dire la che gli italiani devono poter stare bene”) e Silvestro Scotti, Fimmg.
Monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Ionio, vicepresidente Conferenza episcopale per il Sud, artefice di un hospice a Bitonto, è convinto che l’autonomia differenziata possa dare il colpo di grazia al Ssn, mettendo in gioco sia l’unità d’Italia sia i valori che tengono in piedi i servizi, con conseguenze sull’assistenza dei medici, e sul loro praticare ogni giorno i principi deontologici. «Siamo a 23 anni dal 2001 quando la riforma del Titolo V della Costituzione affidò alle regioni l’organizzazione dei servizi sanitari. Altri 23 anni prima la legge 833 fondava il Servizio sanitario sui principi di universalità, equità, giustizia. Oggi quei principi, il cittadino non li vede più applicati» (il sondaggio Fnomceo Censis conferma la disillusione ndr). «Siamo di fronte a una sanità arlecchino, con oltre 20 applicazioni diverse. La legge sull’autonomia non porta chiarezza. Parla di Livelli di erogazione delle prestazioni-LEP da garantire in tutte le regioni d’Italia senza curarsi di chiarire cosa siano» dice Savino. «Non sappiamo, oggi, come i LEP saranno determinati, quale ne sarà il rapporto con i livelli essenziali di gestione (inclusivi della dotazione di fattori produttivi dei servizi sanitari regionali ndr). Non si parla più del fondo di perequazione tra regioni ricche e povere, e non sappiamo in sanità quale sia la reale relazione tra LEP e livelli essenziali di assistenza». I timori di Savino sono ribaditi da Annalisa Mandorino segretaria di Cittadinanzattiva che avverte: i livelli essenziali di assistenza da cui Lombardia, Veneto e (forse) Emilia Romagna partiranno per le loro richieste di autonomia sono oggi concetto impalpabile. «Ci riferiamo a quelli rivisti nel 2017 e slittati al 2023, poi a quest’anno e ora al 2025?» Intanto le regioni più ricche hanno attivato le prestazioni ricomprese nei LEA, le concedono ai residenti. «Puntualmente, prima di essere realizzato a livello nazionale, un modello viene messo in discussione. Complici i contenziosi tra stato e regioni (ognuna delle due parti prova in genere a bloccare l’altra). È il caso anche del DM 77 sugli standard territoriali», dice Mandorino. La paura dei decisori è che più prestazioni portino una spesa insostenibile, «ma l’obiettivo di tutti non dovrebbe essere far star bene quanta più gente possibile?»
Se non venissero determinati i livelli essenziali delle prestazioni, recita la legge Calderoli, il riparto tra le regioni continuerà ad avvenire sulla base della spesa storica cui ogni regione resa autonoma potrà aggiungere parti di gettito fiscale prodotto al suo interno per finanziare i servizi via via trasferiti dallo stato. Un punto su cui convergono le preoccupazioni dei governatori del Sud. Americo Cicchetti, Direttore generale programmazione del Ministero della Salute, però avverte: «I dati del Nuovo sistema di Garanzia ci dicono che la realizzazione dei LEA con i relativi effetti benefici sulla sopravvivenza non è legata alla quantità di risorse investite bensì all’abilità dei servizi sanitari nell’armonizzare i fattori produttivi. In una parola, all’organizzazione».