Sulla Manovra sanitaria approvata dal Consiglio dei ministri, arrivano critiche dai principali sindacati delle professioni sanitarie, che contestano la portata reale degli aumenti annunciati e chiedono interventi strutturali.
Secondo il Nursing Up, l’incremento dell’indennità di specificità per gli infermieri — pari, secondo il Governo, a 1.630 euro lordi annui — non troverebbe copertura sufficiente nei 195 milioni di euro stanziati. La cifra, se ripartita tra circa 285mila infermieri del Servizio sanitario nazionale, corrisponderebbe infatti a 696 euro lordi annui, cioè meno di 40 euro netti al mese.
“Se i numeri sono questi, significa che una parte dell’aumento deriva da fondi già previsti nella legge di bilancio precedente – dichiara Antonio De Palma, presidente di Nursing Up –. Si rischia di presentare come nuova conquista ciò che era già in bilancio”.
Sul fronte occupazionale, il sindacato esprime delusione anche per la riduzione delle assunzioni previste: da 10mila nuovi infermieri nel 2026 si scende a 6mila, una cifra che non modifica la carenza strutturale stimata in 175mila unità rispetto agli standard europei. “Con meno di 40 euro netti in più al mese non si trattiene nessuno – aggiunge De Palma –. Servono risorse vere, non annunci”.
Anche il Coina – Sindacato delle Professioni Sanitarie, con il segretario nazionale Marco Ceccarelli, giudica insufficiente l’intervento del Governo. “Gli stipendi degli infermieri e delle professioni sanitarie non mediche devono essere adeguati agli standard europei e al mutato costo della vita. In Germania o in Francia un infermiere guadagna il doppio – afferma Ceccarelli –. In Italia, dopo anni di sacrifici e il peso della pandemia, restiamo ai margini: precari, sottopagati e con turni massacranti”.
Il Coina riconosce lo sforzo del Governo ma sottolinea che l’indennità da 1.630 euro lordi l’anno non basta a fermare la fuga all’estero e non risolve la carenza di personale. “Il Governo parlava inizialmente di 30mila assunzioni, di cui 10mila subito. Ora si parla di 6mila: ma dove li troveremo, con la crisi attuale?”, chiede Ceccarelli.
Il sindacato avanza due richieste precise:
• un contratto dedicato per infermieri, ostetriche e altre professioni sanitarie dell’area non medica;
• lo sblocco della libera professione per queste categorie, al pari dei medici.
“Non è una provocazione, ma un atto di giustizia – precisa Ceccarelli –. In un Paese con liste d’attesa infinite, negare la libera professione agli infermieri è un lusso che non possiamo più permetterci. Investire sulle forze che abbiamo già in casa è l’unica strada sostenibile”.
Per il Coina, la crisi sanitaria è evidente anche nei dati Istat e Corte dei Conti: quasi un italiano su dieci nel 2024 ha rinunciato a prestazioni sanitarie necessarie per tempi di attesa o costi troppo elevati. “Il cittadino rinuncia alle cure e l’infermiere alla vita familiare – conclude Ceccarelli –. Dopo anni di immobilismo, servono scelte coraggiose: adeguamento salariale europeo, contratto dedicato e investimenti strutturali”.