L’impiego di statine è associato a una riduzione del rischio di emorragia subaracnoidea (ESA). È quanto emerge da uno studio pubblicato su Stroke e condotto da un gruppo di ricerca di istituzioni accademiche e ospedaliere di Tokyo, sulla base di un’analisi nazionale giapponese basata su dati assicurativi.
L’indagine, un caso-controllo su scala nazionale, ha utilizzato i dati del database giapponese delle richieste di rimborso sanitarie, relativi al periodo gennaio 2005–agosto 2021 e riferiti a soggetti di età compresa tra 0 e 74 anni. Sono stati identificati 3.498 casi di prima diagnosi di emorragia subaracnoidea (codice I60 ICD-10) e 13.992 controlli, appaiati per età, sesso e tempo di osservazione.
L’esposizione alle statine è stata valutata solo per il periodo antecedente all’evento. Per l’analisi è stato utilizzato un modello di regressione logistica condizionata, con aggiustamento per fattori individuali e clinici, tra cui ipertensione, diabete, patologie cerebrovascolari, aneurismi non rotti e uso di antipertensivi.
L’impiego di statine è risultato presente nel 12,2% dei casi e nel 12,7% dei controlli. L’odds ratio aggiustato per l’associazione tra uso di statine e rischio di ESA è stato 0,81 (IC 95%: 0,69–0,95), indicativo di una riduzione significativa del rischio. Un’analisi stratificata ha evidenziato che il beneficio era più marcato nei soggetti con storia di ipertensione o di malattia cerebrovascolare pregressa (interazione significativa per entrambe, P = 0,042).
Secondo gli autori, i risultati supportano l’ipotesi che le statine possano avere un ruolo protettivo nei confronti dell’ESA, soprattutto nei soggetti ad alto rischio o non candidabili a trattamento chirurgico per condizioni cliniche o anatomiche. Il profilo di sicurezza noto delle statine – effetti collaterali generalmente lievi e reversibili, come mialgie o alterazioni enzimatiche epatiche – ne rafforza la potenziale utilità nel contesto della prevenzione.
Arturo Zenorini
Fonte:
Stroke. 2025 Jul 8. doi: 10.1161/STROKEAHA.124.049997
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/40625226