Stress psicologico e dieta ad alto contenuto di grassi durante la gravidanza possono influenzare in modo simile lo sviluppo cerebrale del nascituro, aumentando il rischio di disturbi mentali. È quanto emerge da uno studio coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nell’ambito del progetto europeo Embed. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Molecular Psychiatry e aprono la strada allo sviluppo di interventi mirati, sia farmacologici che nutrizionali, per prevenire gli effetti negativi di queste condizioni.
“I risultati di questo studio, un lavoro corale svolto dai ricercatori dell’Iss – sottolinea il presidente Rocco Bellantone – riaffermano ancora una volta la centralità della prevenzione. La gravidanza è un momento particolare nella vita di una donna, un momento di profondi cambiamenti dal punto di vista fisico come psicologico. Puntare su un cambio positivo di stili di vita proprio in questa fase può regalare benessere duraturo alla futura mamma e al bimbo ed è una strategia su cui i medici che seguono la gestazione dovrebbero puntare, informando le donne sui piccoli cambiamenti possibili e tenendo magari con loro un ‘diario’ dei progressi fatti”.
Lo studio ha analizzato le conseguenze dell’esposizione a stress e dieta grassa durante la gravidanza, riscontrando modifiche nella struttura e nella funzione della placenta, oltre a cambiamenti nell’attività genica a livello cerebrale nei feti. “A seguito dell’esposizione a stress o dieta ricca di grassi in gravidanza – sottolinea Francesca Cirulli, coordinatrice dello studio e dirigente di ricerca presso il Centro di riferimento per le scienze comportamentali e la salute mentale dell’ISS – abbiamo osservato in modelli animali modifiche nella struttura e nel funzionamento della placenta, e abbiamo anche evidenziato i geni attivi nel cervello dei feti maschi e femmine al fine di evidenziare segni di infiammazione e stress ossidativo. I risultati mostrano anche che sia lo stress che la dieta grassa della madre causano effetti simili, ma diversi a seconda del sesso del feto. Nei maschi, l’analisi delle proteine espresse dalla placenta indica un potenziale aumento del rischio di malattie cardio-metaboliche future. Nelle femmine, invece, è il cervello a essere più colpito, con un aumento di geni legati all’infiammazione e allo stress ossidativo”.
Nello stesso modello preclinico, il gruppo di ricerca ha valutato anche l’efficacia di strategie protettive basate sull’uso di composti antiossidanti. “Tra gli antiossidanti esistenti – prosegue Cirulli – ci siamo concentrati sull’N-acetilcisteina (Nac), una sostanza derivata dall’aminoacido cisteina. La Nac aiuta a neutralizzare i radicali liberi e potrebbe avere effetti positivi nel ridurre l’infiammazione e migliorare la trasmissione dei segnali nel cervello”.
La ricerca è stata finanziata attraverso il programma europeo Eranet-Neuron. Hanno collaborato, oltre all’ISS, il German Institute for Human Nutrition di Potsdam e il NeuroCure Cluster of Excellence della Charité di Berlino. Tra i centri ISS coinvolti: il Centro di riferimento per le scienze comportamentali e la salute mentale, il Centro nazionale per la ricerca e la valutazione preclinica e clinica dei farmaci, il Centro di riferimento per la medicina di genere e il Servizio Grandi strumentazioni e core facilities.
I dati ottenuti indicano nuove possibili strade di prevenzione, focalizzate sia sulla salute della madre sia su quella del feto. “Il nostro gruppo, ad esempio – conclude Cirulli – si sta concentrando sullo sviluppo di interventi che modifichino lo stile di vita complessivo della donna in gravidanza. Introdurre nella dieta di donne a rischio di obesità o stress psicologico antiossidanti o acidi grassi polinsaturi (omega 3) che si trovano in molti alimenti, rappresenta un approccio fattibile in gravidanza. A tali strategie nutrizionali potrebbero poi essere affiancati supporto psicologico e consigli sul miglioramento dello stile di vita con effetti positivi moltiplicativi sul benessere della madre e del nascituro”.