Tra i diversi fattori che possono avere un’influenza negativa sulla partecipazione agli studi clinici dei pazienti, ce n’è uno poco considerato, ma che può avere conseguenze talmente rilevanti da assumere la denominazione di tossicità: quella da tempo o, in inglese, time-tossicity. A seconda dell’organizzazione, i malati possono infatti incappare in lunghe attese, tempi morti, sovrapposizioni di scadenze e appuntamenti e quant’altro, cioè trascorrere molto più tempo del necessario in ospedale o comunque in un ambito sanitario, pagandone poi le conseguenze in termini di qualità di vita, tono dell’umore, perdita di giornate lavorative e quant’altro.
Per quantificare questo tipo di tossicità, gli oncologi dello University of Oklahoma Stephenson Cancer Center di Oklahoma City hanno studiato il fenomeno da un’angolazione specifica: quella di chi prende parte a uno studio clinico delle prime fasi, condotto per stabilire tossicità ed efficacia delle terapie e quindi caratterizzato da un’annotazione minuziosa di tutto ciò che si verifica, e dei tempi necessari per tutti i controlli.
Come illustrato sul Journal of Clinical Oncology - Oncology Practice (https://ascopubs.org/doi/10.1200/OP.23.00811), a tale scopo hanno verificato le schede di oltre 400 pazienti arruolati in uno studio clinico di fase I-II tra il 2017 e il 2019. I partecipanti erano di età media pari a 60 anni circa, nel 56% dei casi donne, nell’88% dei casi caucasici, e sono stati controllati rispetto al tempo che avevano trascorso nel centro oncologico per le visite in ospedale o in ambulatorio.
Per avere un’idea chiara e distinguere tra i tempi morti ineludibili e le situazioni evitabili, gli autori hanno posto un cut off, e hanno valutato come time-toxicity grave quella che era uguale o superiore al 20% rispetto totale del tempo dedicato alla cura.
Il risultato è stato che, in media, mentre prendevano parte ai trial, i pazienti hanno trascorso il 22,5% del tempo in una visita. I tumori più strettamente associati sono risultati essere quelli del tratto gastro-intestinale, quelli del distretto testa-collo e quelli della mammella. Allo stesso modo, i malati che avevano un performance status peggiore e quelli che erano sottoposti a una terapia targeted hanno avuto una maggiore time-toxicity. Inoltre, una time-toxicity maggiore è risultata a sua volta associata a un tasso di risposta, a una sopravvivenza libera da malattia e a una sopravvivenza globale inferiori. In questo senso, è corretto quindi parlare do vera e propria tossicità.
L’indagine, in definitiva, ha permesso di identificare i soggetti più a rischio, e di dimostrare che il tempo trascorso in ospedale non è irrilevante, ai fini della cura. “Questi dati” hanno concluso gli oncologi “potrebbero arricchire le discussioni tra i medici e i pazienti in merito ai trial clinici, e potrebbero essere utilizzati per migliorare la progettazione di studi futuri, e per identificare prima i pazienti più a rischio e per cercare di ottimizzare i tempi di gestione”.
Fonte
Durbin SM et al. Time Toxicity Experienced by Early-Phase Cancer Clinical Trial Participants
https://doi.org/10.1200/OP.23.00811
https://ascopubs.org/doi/10.1200/OP.23.00811