Quasi due anni di attesa per una mammografia, circa un anno per una ecografia, una tac, o un intervento ortopedico. Le liste d'attesa, già spina nel fianco del Sistema Sanitario Nazionale in tempi ordinari, durante l'emergenza hanno rappresentato la principale criticità per i cittadini. E, anche per questo, a rinunciare alle cure della sanità pubblica, nel 2021, è stato più di un cittadino su dieci. Questa la fotografia scattata dal "Rapporto civico sulla salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità", presentato da Cittadinanzattiva. Liste di attesa per le cure ordinarie, ritardi nella erogazione degli screening e dei vaccini, carenze nella assistenza territoriale sono i primi tre ambiti nei quali si sono concentrate, nel corso del 2021, le 13.748 segnalazioni dei cittadini al servizio PiT Salute. I lunghi tempi di attesa sono riferiti nel 53% di casi agli interventi chirurgici e agli esami diagnostici, nel 51% alle visite di controllo e nel 46,9% alle prime visite specialistiche. Nel 2021, l'11% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a visite ed esami per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio. Permangono situazioni critiche, ad esempio in Sardegna sale al 18,3%, con un aumento di 6,6 punti rispetto al 2019; in Molise e nel Lazio è pari al 13,2% con un aumento di 5 punti rispetto a due anni prima. La situazione è "critica quasi ovunque e sconfortante è l'esito delle verifiche sui percorsi di tutela per arginare il fenomeno delle liste bloccate": risultano attivi solo in Basilicata, Marche, Trentino-Alto Adige ed Umbria, mentre per molte regioni non sono disponibili dati, a "conferma di quanto urga introdurre misure di maggiore trasparenza sul blocco delle liste d'attesa". La pandemia è "un'emergenza che non abbiamo superato - dichiara
Annalisa Mandorino, segretaria di Cittadinanzattiva - abbiamo la necessità di recuperare milioni di prestazioni, i cittadini devono essere messi nella condizione di tornare a curarsi".
Anche per la salute mentale i dati non sono rassicuranti. A partire da un problema di personale: nel pubblico la media nazionale è di appena 3,3 psicologi ogni 100mila abitanti, con una forbice che va da 16 in Valle d'Aosta a 1,3 in Piemonte. Le problematiche segnalate dai cittadini al Pit Salute in tema di salute mentale rappresentano il 12,8% delle segnalazioni nell'ambito dell'assistenza territoriale e "mostrano un crescente deficit strutturale dei servizi di salute mentale". Descrivono, infatti, la disperazione per la gestione di una situazione diventata insostenibile a livello familiare (28%), la scarsa qualità (24%) e la difficoltà di accesso alle cure pubbliche (20%). A fornire assistenza pubblica, in Italia, sono 126 Dipartimenti per la Salute Mentale, di cui si registra un picco di 27 in Lombardia, e un totale di 1.299 strutture territoriali, pari a 2,6 per 100mila abitanti: è la Toscana a registrare il valore più alto di strutture (7,5), seguita da Valle d'Aosta (5,7) e Veneto (4,4). Ben 15 Regioni sono sotto la media nazionale. Per quanto riguarda il personale, la Liguria con 13,8 presenta il miglior rapporto medici per abitanti, seguita da Toscana e PA Trento (12,8 ciascuno). Anche in questo caso sono ben 13 le Regioni che presentano dati inferiori alla media nazionale (pari a 9): maglia nera a Veneto (5,9) e Marche (6). A fronte di questo, il bonus psicologico 2022' introdotto dal Milleproroghe, ha deluso le associazioni di pazienti "e a molti è parso un modo per farsi perdonare la dimenticanza in sede di Pnrr".