Andrea Ardizzoni1, Cesare Gridelli2, Sara Ramella3, Lorenzo Calvetti4, Alessandro Del Conte5, Mariantonietta Di Salvatore6, Salvatore Grisanti7, Annalisa Nardone8, Alberto Pavan9, Francesco J Romano10, Giovanni A. Rossi11, Andrea Sbrana12, Paola Taveggia13
1Oncologia Medica, Dipartimento di Malattie Oncologiche ed Ematologiche, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, IRCCS AOU, Bologna; 2UOC di Oncologia Medica, AO “San Giuseppe Moscati”, Avellino; 3Radioterapia Oncologica, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, Roma; 4Oncologia Medica, AULSS 8, Distretto Est, Ospedale San Bortolo, Vicenza; 5Oncologia Medica e dei Tumori Immunocorrelati, Centro di Riferimento Oncologico (CRO), IRCCS, Aviano; 6Oncologia Medica, Policlinico Universitario A. Gemelli, IRCCS, Roma; 7Oncologia Medica, Spedali Civili, Brescia; 8Radioterapia Oncologica, Istituto Tumori “Giovanni Paolo II”, Bari; 9Oncologia Medica, ULSS3 Serenissima Mestre; 10Oncologia Medica, Ospedale “A. Cardarelli”, Napoli; 11UO Oncologia Medica 2, Ospedale Policlinico “San Martino”, IRCCS, Genova; 12Oncologia Medica, AOU Pisana, Pisa; 13Oncologia Medica, Ospedale “Villa Scassi”, ASL3 Genovese, Genova
Il carcinoma polmonare a piccole cellule (Small Cell Lung Cancer, SCLC), o microcitoma, è responsabile di circa il 14% di tutte le diagnosi di tumore al polmone.1 Questo tumore si distingue per avere una prognosi particolarmente sfavorevole, dovuta alla sua rapida crescita, alla diffusione precoce e alla comparsa tardiva o poco specifica dei sintomi2 che rendono critica la diagnosi tempestiva e l’inizio del trattamento.
I pazienti possono presentare sintomi respiratori, ma anche manifestazioni paraneoplastiche dovute all’origine neuroendocrina delle cellule tumorali, che possono secernere sostanze biologicamente attive.3 Fino a poco tempo fa, si riteneva che tutti i tumori SCLC fossero neuroendocrini, ma la scoperta di varianti non-neuroendocrine ha spinto a una rivalutazione della classificazione del SCLC.4 Il SCLC presenta una elevata eterogeneità intra- ed inter- tumorale e la sua complessità molecolare è responsabile della resistenza alle strategie terapeutiche.1,5 La presenza di diversi sottotipi tumorali ha infatti una evidente rilevanza sia biologica che clinica.
Anche se oggi la stadiazione TNM (Tumor, Node, Metastasis) dovrebbe essere sempre raccomandata anche nello SCLC, quest’ultimo è storicamente classificato in due principali gruppi di presentazione clinica: 1) lo stadio limitato (LS)-SCLC e 2) lo stadio esteso (ES)-SCLC, con una prevalenza di circa il 70% dei casi diagnosticati in fase ES-SCLC. La prognosi a lungo termine dei pazienti con ES-SCLC è estremamente sfavorevole:4 anche se la malattia risponde alla chemioterapia di prima linea nella maggior parte dei casi, il tasso di recidiva è alto, con oltre il 90% dei pazienti con malattia metastatica che progredisce entro due anni dal trattamento.4 Il tasso di sopravvivenza a 5 anni è inferiore al 5%, e il periodo di sopravvivenza complessiva (OS) è di 2-4 mesi per i pazienti che non ricevono alcun trattamento attivo e di 9-12 mesi per i pazienti trattati con chemioterapia standard.6
Prima dell’avvento dell’immunoterapia, il trattamento standard di prima linea per i pazienti con ES-SCLC prevedeva un regime a base di etoposide e platino (cisplatino o carboplatino)4 integrato con la radioterapia toracica concomitante (RT) in caso di malattia in stadio limitato o di consolidamento mediastinico post-chemioterapia in caso di malattia estesa.7 Questo approccio mirava a massimizzare la riduzione tumorale e a contenere la diffusione della malattia, data la natura particolarmente aggressiva del SCLC. Nonostante la potenzialità di questo trattamento combinato, le evidenti limitazioni in termini di tassi di recidiva e sopravvivenza a lungo termine, hanno fatto emergere la necessità di innovazioni terapeutiche.
L’integrazione della RT, in sinergia con la chemioterapia, ha rappresentato un pilastro nel trattamento dei pazienti in stadio limitato, dimostrandosi efficace nel migliorare la sopravvivenza e il controllo locale della malattia7, riportando principalmente tossicità esofagea e polmonare. La profilassi cranica per prevenire metastasi cerebrali resta un argomento di grande dibattito per il beneficio che ha mostrato nel ridurre l’incidenza di metastasi cerebrali ma anche per il danno neurocognitivo che si manifesta in alcuni pazienti.
L’esigenza di superare le limitazioni dei trattamenti esistenti ha spinto verso la ricerca e l’adozione di approcci terapeutici innovativi, tra cui l’immunoterapia, che ha segnato un cambio di paradigma nel trattamento del SCLC. L’introduzione di agenti immunoterapici ha ampliato significativamente le opzioni terapeutiche, promettendo miglioramenti nella gestione della malattia, nell’outcome dei pazienti e nella qualità della vita, aprendo la strada a un’era di trattamento più mirato e personalizzato.
La comprensione approfondita della patogenesi del microcitoma e dei meccanismi biologici sottostanti, unitamente alla conoscenza degli sviluppi recenti nel campo dell’immunoterapia, è fondamentale per consentire ai medici oncologi e radio-oncologi di prendere decisioni terapeutiche complesse. Questi elementi sono indispensabili per l’integrazione efficace delle terapie disponibili nel contesto clinico. L’immunoterapia rappresenta un’evoluzione significativa nel trattamento del SCLC, e richiede una profonda comprensione dei meccanismi d’azione e delle sinergie con le terapie preesistenti per massimizzare i benefici clinici.
Dall’esigenza di integrare e diffondere le conoscenze acquisite dai clinici sull’utilizzo dell’immunoterapia nel trattamento del microcitoma è nato il progetto Science Clinic Life Collaboration, realizzato con il contributo non condizionante di Roche. Il progetto, che ha coinvolto 12 esperti di rilievo nazionale e 39 oncologi nel campo del microcitoma, si è posto come obiettivo la mappatura dello stato attuale della cura del microcitoma in Italia, al fine di elaborare raccomandazioni che consentano di ottimizzare il trattamento e l’intero percorso di cura dei pazienti affetti da SCLC. La struttura del progetto e dell’attività svolta dal gruppo di lavoro “Esperienze cliniche”, che nello specifico ha portato alla realizzazione di questo testo, è riportata in figura 1.
FIGURA 1. Struttura del progetto Science Clinic Life Collaboration e metodologia applicata nel workshop “Esperienze cliniche”.
Negli ultimi anni la ricerca sul ruolo terapeutico degli inibitori dei checkpoint immunitari (ICI) si è notevolmente intensificata nel campo dell’oncologia. L’interazione tra PD-1 (Programmed Death-1) e il suo ligando PD-L1 inibisce l’attività delle cellule T e permette alle cellule tumorali di evadere la sorveglianza immuno-mediata. L’inibizione di questo meccanismo di segnale è in grado di ripristinare l’attività antitumorale delle cellule T (figura 2).8
FIGURA 2. Meccanismo di evasione immunitaria mediato da PD1/PD-L1. Il legame PD-1/ PD-L1 contribuisce all’evasione del tumore dal riconoscimento immunitario. Quando PD-1 si lega a PD-L1 sulla superficie delle cellule immunitarie effettrici, come le cellule T, la trasduzione del segnale del recettore delle cellule T (TCR) viene soppressa. Gli anticorpi monoclonali (mAbs) che impediscono il legame PD-1/PD-L1 sono ampiamente usati nell’immunoterapia clinica (modificata da Meng et al. 2024).8
Nel contesto del microcitoma, studi randomizzati di fase III sull’utilizzo combinato della chemioterapia (platino/etoposide) e dell’immunoterapia con un inibitore PD-1/PD-L1 hanno dimostrato il beneficio dell’aggiunta di un ICI nel trattamento del ES-SCLC.6
In particolare, lo studio randomizzato di fase III IMpower1339 ha valutato l’efficacia della combinazione di atezolizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato anti PD-L1, con la chemioterapia a base di carboplatino ed etoposide (CP/ET) nel trattamento del ES-SCLC. In questo studio, la terapia combinata ha dimostrato una superiorità rispetto alla sola chemioterapia in termini di OS (12,3 vs 10,3 mesi) e sopravvivenza libera da progressione (PFS) (5,2 vs 4,3 mesi), senza differenze nelle tossicità ematologiche e con un profilo di sicurezza comparabile.6
Sulla base degli esiti dello studio IMpower133, atezolizumab, in associazione con carboplatino ed etoposide (CP/ET), è stato il primo ICI ad ottenere l’approvazione per il trattamento di prima linea dell’ES-SCLC, modificando significativamente il paradigma terapeutico per questa patologia.4
Risultati analoghi a quelli ottenuti con IMpower133 si sono osservati nello studio CASPIAN con l’inibitore di PD-L1 durvalumab.10 Dopo atezolizumab, anche durvalumab ha ricevuto l’approvazione per l’uso in combinazione con chemioterapia a base di platino ed etoposide come trattamento di prima linea per l’ES-SCLC.10
Le evidenze derivanti dalle osservazioni a lungo termine su pazienti sottoposti a chemio-immunoterapia rivelano che l’aggiunta dell’immunoterapia al regime chemioterapico nel trattamento dell’ES-SCLC influenza positivamente la sopravvivenza a lungo termine. In particolare, i dati su un gruppo di pazienti trattati con CP/ET e atezolizumab nello studio registrativo IMpower133 ed osservati nello studio di estensione IMbrella A, riportano un eccezionale tasso di OS a 5 anni del 12%; analogamente, il tasso di OS a 3 anni riportato per la chemioterapia più durvalumab nello studio CASPIAN è risultato del 17,6%.11 Con periodo di osservazione maggiore dello studio di estensione IMbrella A, il beneficio a 6 anni continua ad essere mantenuto con un tasso di sopravvivenza dell’11%.12
Questi dati supportano ulteriormente l’importanza dell’immunoterapia nel trasformare il decorso clinico dei pazienti affetti da SCLC, segnando una vera e propria rivoluzione nelle strategie di trattamento. L’inserimento dell’immunoterapia nell’algoritmo terapeutico per i pazienti ES-SCLC nelle linee guida ESMO 2021,13 riflette questo cambiamento di paradigma, attestando il riconoscimento dei benefici conferiti dagli inibitori di PD-L1 nella gestione dell’SCLC avanzato. Le linee guida NCCN (National Comprehensive Cancer Network) 2024 raccomandano la chemio-immunoterapia come prima opzione terapeutica per i pazienti con ES-SCLC, suggerendo inoltre di proseguire l’immunoterapia di mantenimento con atezolizumab o durvalumab fino alla progressione della malattia o alla comparsa di tossicità intollerabile.14
Recentemente anche nella malattia in stadio limitato l’immunoterapia ha dimostrato un beneficio con i dati dello studio di fase III ADRIATIC, recepiti da un update delle linee guida, dove si afferma come l’aggiunta possa significativamente migliorare la sopravvivenza a 2 anni fino a circa il 10%.15
I pazienti con ES-SCLC presentano spesso comorbidità rilevanti, età avanzata e un elevato carico sintomatico. Di conseguenza, per valutare il reale impatto clinico della chemio-immunoterapia in questi pazienti è importante considerare le evidenze provenienti dal mondo reale (Real-World, RW). Questo approccio è fondamentale poiché i pazienti inclusi negli studi registrativi sono selezionati secondo criteri che ne limitano la rappresentatività, offrendo così una visione parziale rispetto all’ampia varietà di pazienti con ES-SCLC.
L’analisi ad interim del MAURIS, uno studio multicentrico italiano di fase IIIb, ha fornito dati sulla sicurezza e l’efficacia di atezolizumab più CP/ET in una popolazione di pazienti con ES-SCLC di nuova diagnosi più vicina a quella osservata nella pratica clinica.16 Nel 71,6% dei pazienti trattati il tumore ha risposto alla chemio-immunoterapia e si sono registrati un OS e una PFS di 10,7 e 5,5 mesi rispettivamente.16
Un’analisi italiana di Bonanno et al., condotta sull’impatto dell’introduzione della chemio-immunoterapia nel trattamento dell’ES-SCLC, ha evidenziato come nel contesto clinico reale l’introduzione della chemio-immunoterapia abbia comportato un significativo miglioramento degli indicatori di esito con una riduzione della durata della degenza ospedaliera.11
Ulteriori dati di RW evidenziano che, nonostante le complicazioni ematologiche, in particolare la ridotta conta neutrofilica, la combinazione di atezolizumab e CP/ET mostra una buona efficacia e una tossicità accettabile nei pazienti anziani affetti da ES-SCLC.17,18 Di conseguenza, questa combinazione immuno-terapica potrebbe essere l’opzione terapeutica standard da preferirsi per questi pazienti.17,18 A conferma di queste osservazioni, uno studio prospettico di coorte, condotto recentemente in Corea nel contesto reale, ha dimostrato l’efficacia di atezolizumab abbinato alla chemioterapia nei pazienti affetti da ES-SCLC, inclusi quelli anziani o con un ECOG-PS (Eastern Cooperative Oncology Group-Performance Status) scaduto. Lo studio ha altresì evidenziato che la radioterapia toracica consolidativa può offrire vantaggi nella fase di mantenimento con atezolizumab, qualora la malattia risulti sotto controllo.19 A questa evidenza si aggiungono anche altri lavori di real-world che utilizzano la radioterapia di consolidamento mediastinico dopo la chemio-immunoterapia, da cui emerge il dato interessante di una sopravvivenza mediana superiore ai 22 mesi (24.1 vs 18.5 mesi20; 21.7 vs 16.6 mesi21; 22.7 vs 14.7 mesi22) con miglioramento anche in termini di PFS senza incremento delle tossicità attese.
Nonostante la mole emergente di evidenze relative all’utilizzo dell’immunoterapia nel contesto real-world, risulta imperativo continuare nell’acquisizione di informazioni in questa direzione. Di conseguenza, il confronto e la condivisione delle esperienze cliniche assume un valore inestimabile, contribuendo significativamente all’evoluzione delle strategie terapeutiche.
Durante il workshop focalizzato sulle “esperienze cliniche”, sono emerse varie tematiche chiave riguardanti sia le conoscenze attuali sia le sfide legate alla gestione del microcitoma in ambito clinico. Sono stati evidenziati non solo i progressi significativi conseguiti ma anche le problematiche irrisolte e le strategie per potenziare l’efficacia dei trattamenti. Tali argomentazioni e le relative raccomandazioni emerse sono presentati nelle sezioni seguenti.
Rilevanza della stadiazione
La stadiazione nel trattamento del microcitoma è fondamentale per guidare la scelta terapeutica più adeguata e personalizzata per il paziente (figure 3, 4).
FIGURA 3. Distinzione tra stadio limitato e stadio esteso del SCLC secondo la stadiazione VALG (Veterans Administration Lung Study Group).23
FIGURA 4. Stadiazione tumorale secondo la proposta della 9 edizione della classificazione TNM23. Il sistema di stadiazione TNM si basa su 3 informazioni chiave: la dimensione e l’estensione del tumore principale (T); la diffusione ai linfonodi vicini (regionali) (N); la diffusione (metastasi) (M) ad altri organi del corpo. Dopo T, N e M compaiono numeri o lettere per fornire più dettagli su ciascuno di questi fattori. Numeri più alti indicano che il cancro è più avanzato. Una volta determinate le categorie T, N e M, queste informazioni vengono combinate in un processo chiamato raggruppamento degli stadi, per assegnare uno stadio complessivo. Nel sistema TNM, lo stadio più precoce è lo stadio 0 (chiamato anche carcinoma in situ, o CIS). Gli altri stadi principali variano da I (1) a IV (4). Alcuni di questi stadi sono ulteriormente suddivisi con lettere o numeri. In generale, più basso è il numero dello stadio, meno il cancro si è diffuso. Un numero più alto, come lo stadio IV, significa che il cancro si è diffuso di più. E all’interno di uno stadio, una lettera (o numero) precedente indica uno stadio inferiore.23
Sebbene il sistema di stadiazione TNM sia ampiamente utilizzato per classificare il tumore polmonare, per il SCLC la distinzione tra stadio limitato ed esteso rimane centrale nella decisione del trattamento. È infatti essenziale distinguere tra la malattia in stadio limitato, con prospettive di cura, e la malattia in stadio esteso, dove l’obiettivo del trattamento è il controllo della patologia e il miglioramento della qualità di vita del paziente.23 La scelta del percorso terapeutico ottimale richiede una valutazione diagnostica meticolosa, impiegando strumenti quali la PET e l’EBUS-TBNA (EndoBronchial UltraSound-guided TransBronchial Needle Aspiration), al fine di determinare con precisione lo stadio della malattia e selezionare i pazienti idonei per specifici interventi, siano essi chirurgici, radioterapici, o terapie combinate chemio-immunoterapiche. Una stadiazione accurata è fondamentale non solo per orientare verso l’intervento più appropriato, ma anche per fornire previsioni affidabili riguardo gli esiti per il paziente. Un approccio mirato consente di massimizzare l’efficacia del trattamento, ottimizzando gli esiti e migliorando la gestione clinica dei pazienti affetti da questa patologia complessa.
In fase di stadiazione, la stretta collaborazione tra oncologi medici e oncologi radioterapisti è fondamentale per la scelta della strategia terapeutica ma anche per la definizione del timing dell’intervento stesso. Questa sinergia garantisce che ogni decisione terapeutica sia personalizzata, ottimizzando così gli esiti clinici e migliorando la qualità della cura offerta ai pazienti.
Nel contesto di un paziente lungo sopravvivente, il gruppo di lavoro ha avuto modo di riflettere sulla classificazione dello stadio di malattia in presenza di un coinvolgimento N3 sovraclaveare bilaterale, interrogandosi se questo debba essere considerato uno stadio esteso o limitato. Il paziente in questione è stato sottoposto a chemio-immunoterapia come trattamento di prima linea. Tuttavia, il dibattito ha consentito di stabilire che, in situazioni simili, l’N3 sovraclaveare dovrebbe essere trattato con un approccio radicale, poiché l’adozione della chemio-radioterapia non pregiudica l’impiego successivo della chemio-immunoterapia nel caso di progressione metastatica della malattia.
Approccio terapeutico in fase iniziale
Con l’implementazione e l’espansione dei programmi di screening per il tumore al polmone, ci si attende un incremento significativo dei casi di microcitoma identificati in fase iniziale. Questo progresso nel rilevamento precoce della malattia aprirà nuove prospettive terapeutiche, potenzialmente migliorando le possibilità di trattamenti curativi e aumentando i tassi di sopravvivenza; ci si attende infatti che la diagnosi precoce consenta di intervenire in modo più mirato e meno invasivo. In questo contesto, è fondamentale definire l’approccio da seguire per i pazienti in stadio uno che non sono rappresentati nei trial clinici e numericamente sono ancora molto pochi; infatti solo una piccola percentuale di pazienti con SCLC in stadio limitato presenta uno stadio precoce (T1–T2N0–N1M0) di SCLC.25 La gestione di questi pazienti è controversa e sono disponibili almeno tre opzioni di trattamento locale: 1) chirurgia; 2) radioterapia frazionata e 3) radioterapia stereotassica (SBRT o SABR).25 Il ruolo dell’irradiazione profilattica dell’encefalo (PCI - Prophylactic Cranial Irradiation) non è ben stabilito in questi pazienti come lo è nei pazienti con SCLC localmente avanzato.25
Nel corso del progetto è stato discusso un caso di malattia in fase iniziale estremamente limitata, trattato mediante chirurgia e chemioterapia. Questo approccio, benché radicale, non è stato in grado di prevenire la metastatizzazione, mettendo in evidenza la necessità di studiare soluzioni alternative anche in queste situazioni apparentemente iniziali. Il dibattito aperto circa l’approccio da utilizzare nei pazienti in stadio I ed i dati di consensus evidenziano che la profilassi encefalica non è raccomandata nei pazienti con malattia molto precoce.
Gestione dei pazienti sintomatici
Nel trattamento del microcitoma, la gestione dei pazienti sintomatici richiede un approccio attentamente personalizzato, tenendo in considerazione l’alto carico di malattia e gli effetti collaterali potenziali delle terapie. È essenziale ottimizzare il trattamento per migliorare la qualità di vita, combinando chemioterapia, radioterapia sulle sedi dolenti, e immunoterapia quando appropriato. La sinergia tra trattamento radioterapico e immunoterapia può aumentare l’efficacia terapeutica, specialmente in caso di oligoprogressione. La collaborazione multidisciplinare tra medici oncologi, onco-radiologi, terapisti del dolore e altri specialisti è fondamentale per valutare le migliori strategie terapeutiche e gestire in modo ottimale la sintomatologia, garantendo al paziente il massimo beneficio possibile.
Pazienti lungo sopravviventi (long term survivors - LTS)
In una patologia aggressiva come lo SCLC, nei trial clinici vengono definiti come LTS i pazienti che superano i 18 mesi di vita dopo la randomizzazione.26 Analisi esplorative hanno rivelato che vi erano più LTS (34%) nel braccio atezolizumab più CP/ET rispetto al braccio placebo più CP/ET (20%).26 Inoltre si è messo in evidenza come un ECOG PS 0, bassi livelli di LDH e un numero inferiore di siti metastatici siano fattori prognostici associati a maggiori probabilità di essere LTS.26 Questi dati preannunciano che in futuro si registrerà un aumento nei tassi di sopravvivenza a lungo termine nei pazienti affetti da microcitoma. Sarà dunque fondamentale studiare approfonditamente le caratteristiche biologiche e cliniche di questi pazienti per poter offrire loro i migliori approcci terapeutici.
Il ruolo della radioterapia
Data l’evoluzione delle tecnologie radioterapiche, diventa essenziale rafforzare la sinergia tra medici oncologi e onco-radiologi, in particolare nella gestione di casi clinici che sollevano dubbi o criticità particolari. Tale collaborazione è decisiva per garantire che i pazienti affetti da microcitoma possano beneficiare della radioterapia anche nelle circostanze clinicamente più complesse, che potrebbero portare a non considerare il trattamento radioterapico.
La radioterapia toracica e la PCI sono comunemente utilizzate nella gestione dell’ES-SCLC; ciononostante, studi di fase III sull’utilizzo dell’immunoterapia come trattamento di prima linea spesso escludono queste opzioni.27
Una metanalisi condotta su studi controllati randomizzati suggerisce che la PCI riduce l’incidenza di metastasi cerebrali ed il tempo a progressione cerebrale nello ES-SCLC. Sebbene la PCI non abbia un effetto significativo sulla sopravvivenza globale, migliora la sopravvivenza a 1 anno nei pazienti con ES-SCLC. Tuttavia, la PCI non influisce significativamente sulla sopravvivenza a 2, 3, 4, 5 anni e può comportare un rischio significativamente aumentato di eventi avversi.28 In effetti nello stadio esteso, attualmente, anche a seguito della pubblicazione dello studio giapponese di Takahashi et al., la PCI può essere sostituita da un attento monitoraggio cerebrale con RM encefalo ogni 3 mesi, al fine di intervenire tempestivamente a comparsa delle lesioni.29
Benché svariati studi randomizzati abbiano evidenziato i vantaggi derivanti dall’integrazione della radioterapia toracica o dell’immunoterapia alla chemioterapia, optare per una combinazione di chemio-immunoterapia e radioterapia toracica rappresenta una decisione che richiede cautela, dati i profili di sicurezza ancora poco esplorati.30 Ciononostante stanno emergendo dati a supporto della sicurezza e degli ampi vantaggi in termini di sopravvivenza che la combinazione dell’immunoterapia con la radioterapia toracica di consolidamento (CTRT) ha sul ES-SCLC.30
Un gruppo di esperti canadesi, a seguito di una valutazione delle evidenze attualmente disponibili e dell’esperienza proveniente dalla pratica clinica, ha raccomandato che tutti i pazienti che rispondono alla chemio-immunoterapia, con un buon PS e metastasi limitate siano considerati per la CTRT. Quando considerato appropriato dopo la discussione del team multidisciplinare, la radioterapia toracica può essere iniziata durante il mantenimento con l’immunoterapia. Tutti i pazienti che rispondono alla chemio-immunoterapia concomitante dovrebbero essere sottoposti a restaging con MRI cerebrale per guidare il processo decisionale riguardo alla PCI rispetto alla sola sorveglianza con MRI. La sorveglianza con MRI dovrebbe essere condotta per due anni dopo la risposta alla terapia iniziale. La PCI può essere considerata per i pazienti senza coinvolgimento del sistema nervoso centrale che hanno una risposta alla chemio-immunoterapia e buon PS. Il trattamento concomitante con PCI e immunoterapia o con radioterapia toracica, PCI e immunoterapia è appropriato dopo il completamento della terapia iniziale.27
Nel contesto della radioterapia encefalica stanno emergendo evidenze che suggeriscono come, nel caso di metastasi intracraniche, la stereotassi possa essere efficace senza ridurre la sopravvivenza rispetto al trattamento whole-brain (WBRT).31 I risultati dell’ENCEPHALON trial, che ha confrontato la WBRT con la SRT, sono a favore di quest’ultima: i pazienti sottoposti a WBRT, a 3 mesi dall’inizio del trattamento, mostrano un rischio maggiore di declino delle funzionalità neurocognitive rispetto ai pazienti trattati con la SRT. Pertanto, la SRT dovrebbe essere considerata una opzione di cura per i pazienti con metastasi cerebrali da SCLC.32
L’adozione della SRT per trattare le oligoprogressioni cerebrali rappresenta un cambiamento significativo nell’approccio terapeutico ai pazienti affetti da microcitoma, che mette in discussione le precedenti riserve sul suo utilizzo dovute al rischio di rapida progressione intracranica. Questa evoluzione nell’approccio terapeutico, che riconsidera l’utilizzo della SRT in questo specifico contesto clinico, è presumibilmente guidata dai progressi ottenuti grazie all’introduzione dell’immunoterapia ed al controllo sistemico che essa esercita.
Pazienti fragili
Nell’ambito della gestione del microcitoma, affrontare il trattamento dei pazienti fragili, ovvero quelli che presentano comorbidità, età avanzata, o con una condizione fisica compromessa a causa della malattia, richiede considerazioni particolarmente accurate. La scelta del percorso terapeutico per questi individui necessita di un’analisi meticolosa, con l’obiettivo di trovare il giusto equilibrio tra l’efficacia del trattamento e la sua tollerabilità. La presenza di fragilità, per quanto possa sembrare limitante, non esclude a priori l’opzione della chemio-immunoterapia. Evidenze tratte dai casi clinici discussi dimostrano che è possibile implementare con successo regimi chemio-immunoterapici anche in queste popolazioni di pazienti. Ciò nondimeno, è cruciale evitare di estendere indiscriminatamente le indicazioni terapeutiche basandosi su singole esperienze positive, dato che potrebbero non rappresentare l’intero spettro delle risposte al trattamento.
Nella gestione di pazienti fragili affetti da microcitoma, è imprescindibile l’adozione di un approccio multidisciplinare che consenta una valutazione dettagliata e personalizzata del profilo di ciascun paziente, con l’obiettivo di delineare un piano terapeutico equilibrato, che massimizzi i benefici clinici minimizzando i rischi di tossicità. In questo contesto, la scelta terapeutica può includere l’immunoterapia come strategia di mantenimento per limitare l’impiego di chemioterapici in soggetti particolarmente vulnerabili.
Metastasi cerebrali
Nel contesto del trattamento delle metastasi cerebrali in pazienti con SCLC, l’approccio ottimale dipende da vari fattori, tra cui il numero e la dimensione delle metastasi cerebrali. Osservazioni cliniche suggeriscono che il limite massimo della dimensione delle lesioni per una radioterapia stereotassica encefalica è tipicamente di 3-4 cm. Ciò suggerisce che pazienti con lesioni più grandi o numerose potrebbero non essere candidati ideali per la SRT.
Recenti studi hanno evidenziato i vantaggi della SRT rispetto alla WBRT, soprattutto quando si considera l’obiettivo di minimizzare il danno neurocognitivo senza compromettere l’efficacia del trattamento (vedi paragrafo “Il ruolo della radioterapia”).
L’integrazione della SRS nel trattamento delle metastasi cerebrali nel SCLC rappresenta un cambiamento significativo rispetto all’approccio convenzionale con la WBRT; tuttavia, è essenziale una valutazione accurata del paziente, considerando sia le caratteristiche delle metastasi cerebrali (numero, dimensione, coinvolgimento meningeo) sia le condizioni fisiche generali, per determinare l’approccio più adeguato.
Mentre la WBRT rimane un’opzione per il trattamento delle metastasi cerebrali in pazienti con SCLC, soprattutto in casi di malattia diffusa, la SRT emerge come un’alternativa promettente per casi selezionati, offrendo benefici in termini di riduzione del danno neurocognitivo e potenzialmente miglior controllo locale delle lesioni metastatiche. La decisione tra questi approcci dovrebbe essere guidata da una valutazione complessiva delle necessità e delle condizioni del paziente, nonché dalla discussione multidisciplinare tra oncologi medici, oncologi radioterapisti e neurochirurghi.
Oligoprogressione e trattamento radioterapico
Nel contesto dell’SCLC, il concetto di oligoprogressione riveste un’importanza crescente, segnalando una modalità di progressione della malattia caratterizzata dall’avanzamento su una o poche sedi pur in presenza di un controllo sistemico generalizzato. Questo fenomeno implica che, nonostante la terapia sistemica stia controllando efficacemente la maggior parte della malattia, piccole aree di malattia attiva continuano a progredire. La gestione di tali casi rappresenta una sfida clinica che richiede un’attenzione specifica e un approccio terapeutico mirato.
Nella gestione dell’oligoprogressione, diventa fondamentale l’integrazione di trattamenti locali, come la radioterapia, con l’immunoterapia per ottimizzare i risultati terapeutici. Evidenze cliniche dimostrano come l’impiego della radioterapia, in particolare quella stereotassica, permetta di indirizzare con precisione millimetrica le aree di progressione, minimizzando l’impatto sul tessuto sano circostante e riducendo il rischio di effetti collaterali significativi. Questo approccio non solo mira a controllare le lesioni oligometastatiche ma potrebbe anche potenziare l’effetto dell’immunoterapia attraverso l’induzione di una risposta immunitaria locale e sistemica contro il tumore. La RT, infatti, oltre agli effetti citotossici diretti ben documentati, può avere effetti immunomodulatori sul tumore e sui tessuti circostanti.33 Si ritiene che questi effetti siano alla base delle cosiddette risposte abscopali, in cui la RT genera un’immunità antitumorale sistemica al di fuori del tumore irradiato32 ma che si evidenziano soprattutto quando il trattamento ipofrazionato radioterapico viene eseguito nelle prime fasi di somministrazione dell’immunoterapia, più che in momenti successivi all’oligoprogressione dove il beneficio è principalmente sulla sede irradiata.
L’analisi dei dati ottenuti da uno studio retrospettivo su pazienti con SCLC sottoposti a radioterapia stereotassica corporea (SBRT, Stereotactic Body Radiation Therapy) per malattia metastatica oligoprogressiva/oligorecorrente ha dimostrato che, nonostante la malattia si ripresenti nella maggior parte dei pazienti, la prognosi è apparentemente incoraggiante, con una OS al terzo anno del 37% e una sopravvivenza mediana di 17,2 mesi.34 In simili circostanze, la OS prevista si aggira solitamente intorno ai 6 mesi, il che sottolinea il potenziale vantaggio offerto da questa strategia, ancorché limitato a pazienti accuratamente selezionati.34
La sinergia tra radioterapia e immunoterapia nell’oligoprogressione rappresenta quindi una strategia promettente, che consente di estendere i benefici del trattamento a pazienti che altrimenti sarebbero considerati refrattari alla terapia standard. È importante sottolineare che la decisione di intraprendere questo approccio deve essere basata su una valutazione multidisciplinare accurata, che consideri le caratteristiche individuali del paziente, il profilo di tollerabilità e la dinamica della malattia.
Trattamento oltre la progressione
Il concetto di trattamento oltre la progressione (Treatment Beyond Progression, TBP) nel contesto del SCLC ha guadagnato attenzione grazie alla sua potenziale capacità di offrire benefici ai pazienti nonostante la progressione della malattia.
L’idea di mantenere l’immunoterapia oltre la progressione si fonda su basi biologiche ed è stata discussa durante il workshop.
Questa strategia solleva questioni rilevanti riguardo le tempistiche e la selezione dei pazienti idonei.
Sebbene nello studio registrativo IMpower133 fosse permesso proseguire il trattamento oltre la progressione della malattia per i pazienti che avevano accettato tale opzione, in associazione al trattamento continuativo con atezolizumab dopo progressione della malattia sono state osservate risposte atipiche (ossia iniziale progressione della malattia seguita da riduzione della massa tumorale). Il trattamento dopo la progressione della malattia può essere dunque preso in considerazione a discrezione del medico. Tuttavia, per consolidare la fiducia nell’uso dell’immunoterapia al di là della progressione della malattia, si rendono necessari studi prospettici che ne valutino efficacia e sicurezza in un ambito di pratica clinica reale.
Il trattamento oltre la progressione è un’area di ricerca aperta e di particolare interesse, tanto che è previsto uno studio in molti Centri italiani per esplorare ulteriormente questo approccio. Lo studio mira a chiarire se sia vantaggioso continuare l’immunoterapia oltre la progressione del tumore, specialmente nei pazienti con una progressione “sensibile”.
L’approccio di trattamento oltre la progressione rappresenta un ulteriore cambio di paradigma nel trattamento del SCLC, suggerendo che la progressione della malattia sotto immunoterapia non dovrebbe automaticamente precludere la prosecuzione o l’aggiustamento del trattamento immunoterapico. Tuttavia, è fondamentale una selezione accurata dei pazienti, basata su criteri clinici e biologici, per identificare coloro che potrebbero trarre maggiore beneficio da questa strategia.
In conclusione, il trattamento oltre la progressione nel SCLC emerge come un’area promettente che richiede ulteriori indagini attraverso studi clinici ben progettati. Questo approccio potrebbe potenzialmente offrire ai pazienti con SCLC una preziosa opportunità di prolungare il beneficio terapeutico dell’immunoterapia, sottolineando l’importanza di un’attenta valutazione e monitoraggio della progressione della malattia.
Conclusioni
L’introduzione dell’immunoterapia ha segnato una svolta nel trattamento del microcitoma, ridefinendo l’approccio ai pazienti in fase avanzata e integrando in modo innovativo il ruolo della radioterapia nell’attuale scenario terapeutico. L’impiego dell’immunoterapia sta promuovendo una trasformazione concettuale profonda, influenzando notevolmente il decorso clinico della malattia. L’emergere di sopravvivenze a lungo termine e l’approccio mirato all’oligoprogressione attraverso interventi loco-regionali sottolineano una svolta significativa nella gestione del microcitoma. Diviene, quindi, imprescindibile proseguire nella raccolta di evidenze RW e nell’accumulo di dati derivanti dalla pratica clinica quotidiana, al fine di affinare e ottimizzare le strategie di cura garantendo l’impiego più efficace delle opzioni terapeutiche disponibili ai pazienti afflitti da questa grave malattia.
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