Clinica
Cardiologia
28/11/2024

Cardiologia interventistica, intervenire prima con la TAVI si può

In Italia si riesce a sopperire a circa la metà dei bisogni di sostituzione transcatetere di valvola aortica ma arrivano nuove raccomandazioni per i pazienti eleggibili al trattamento

Cardiologo cuore

Intervenire precocemente sui pazienti con stenosi aortica grave, ma senza sintomi, potrebbe essere una strategia più utile di una vigile attesa. Lo dimostra lo studio EARLY TAVR discusso nelle scorse settimane, in occasione del congresso internazionale della Cardiologia Interventistica Transcatheter Cardiovascular Therapeutics (TCT) di Washington.

Il tema della TAVI è particolarmente rilevante, visti gli studi - sempre più numerosi - che dimostrano l’importanza dell’intervento anche nei pazienti cardiopatici asintomatici. Il sistema interventistico italiano è in grado di reggere queste nuove indicazioni, consentendo di eliminare quasi completamente le conseguenze del mancato intervento, ma in Italia l’accesso soddisfa solo poco più della metà del fabbisogno nazionale con 220 TAVI per milione di abitanti, quando invece il fabbisogno stimato è di 400 per milione di abitanti. Un dato che deve far riflettere.

A puntare i riflettori su nuove opportunità e carenze di accesso a una metodica che da oltre 20 anni si sta dimostrando sicura ed efficace, appunto la TAVI, sono gli specialisti della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), in occasione del 45esimo congresso nazionale, un evento, per la prima volta nella sua storia, totalmente ‘carbon neutral’: significa che le emissioni di carbonio generate dal congresso saranno calcolate e compensate. Il congresso GISE Nazionale 2024 diventerà così non solo un momento di grande rilevanza scientifica, ma anche un esempio concreto di responsabilità verso il pianeta.

“La TAVI è una procedura minimamente invasiva che ha rivoluzionato la cardiologia interventistica, offrendo un’importante opportunità di cura per i pazienti con stenosi aortica in alternativa alla chirurgia a cuore aperto tradizionale – spiega Francesco Saia, presidente GISE e cardiologo interventista all’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico Sant’Orsola – Questa patologia mette il cuore in difficoltà e porta alla comparsa di sintomi come affaticamento, dolore al petto o svenimenti. Dopo la comparsa dei sintomi, si ha un aumento importante del rischio di morte stimato intorno al 30% per anno tanto che a 3 anni dalla diagnosi sopravvive meno del 5% dei pazienti”.

Lo studio EARLY TAVR ha coinvolto 901 pazienti in 75 centro tra Stati Uniti e Canada con un’età media di 75,8 anni affetti da stenosi aortica grave: 455 sono stati sottoposti a una TAVI precoce, mentre 446 pazienti sono stati monitorati. Tutti i partecipanti sono stati seguiti per 3,8 anni, durante i quali è emerso che i pazienti sottoposti a una TAVI precoce hanno un rischio ridotto di poco più del 15% di morte, ictus o ricovero rispetto ai pazienti sottoposti solo a un monitoraggio (35% versus 51%). I pazienti sottoposti a intervento precoce avevano anche meno probabilità di riportare un peggioramento della funzione ventricolare sinistra e atriale sinistra rispetto a quelli del gruppo di sorveglianza. Dallo studio emerge anche che il 26% dei pazienti coinvolti ha manifestato poi i sintomi entro 6 mesi, il 50% entro un anno e oltre il 70% ha avuto bisogno di una sostituzione della valvola aortica entro 2 anni.

“Questi dati mostrano chiaramente che non ci sono evidenze che una TAVI precoce sia dannosa o negativa – commenta Alfredo Marchese, responsabile cardiologia interventistica Ospedale S.Maria GVM di Bari – Le attuali linee guida raccomandano una sorveglianza clinica di routine ogni 6-12 mesi, ma i nuovi dati indicano che un intervento precoce può migliorare i risultati”.

“Nel nostro paese i livelli di accesso all’interventistica cardiovascolare risultano ancora inadeguati sia in termini di numero di pazienti trattati rispetto al fabbisogno, sia di disomogeneità tra le varie aree geografiche dell'Italia – conclude Saia – È dunque necessario individuare, insieme alle istituzioni, gli strumenti che possono permettere di superare queste criticità, di migliorare gli esiti delle procedure e, soprattutto, la salute dei pazienti”.

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