Un recente studio condotto dall’Unità di Ricerca di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, in collaborazione con l’Università LUM di Casamassima, ha rivelato un legame preoccupante tra il consumo elevato di alimenti ultra-processati (UPF) e l'accelerazione dell'invecchiamento biologico, indipendentemente dalla qualità nutrizionale della dieta.
I risultati, pubblicati su The American Journal of Clinical Nutrition, offrono un nuovo punto di vista su come il livello di lavorazione dei cibi incida sulla salute.
L’indagine ha coinvolto oltre 22.000 partecipanti del Progetto Moli-sani e si è basata su oltre trenta biomarcatori ematici per misurare l’età biologica, che riflette le condizioni reali del corpo e può differire dall’età cronologica. Attraverso un questionario alimentare, i ricercatori hanno stimato l’assunzione di UPF. Lo studio ha evidenziato che chi ha un consumo regolare di questi cibi tende ad avere un’età biologica più avanzata rispetto alla propria età cronologica.
L'accelerazione dell'invecchiamento biologico è associata a un aumentato rischio di sviluppare numerose malattie croniche, come malattie cardiovascolari, diabete e alcuni tipi di tumore.
L'età biologica non corrisponde sempre a quella anagrafica. È un indicatore dello stato di salute del nostro organismo, influenzato da fattori genetici e ambientali, tra cui l'alimentazione. Lo studio ha dimostrato che un elevato consumo di alimenti ultra-processati è associato a un invecchiamento biologico accelerato, rendendo le persone, a livello cellulare e tissutale, più vecchie della loro età anagrafica.
La ricercatrice Marialaura Bonaccio, responsabile degli studi su alimentazione e salute dell’IRCCS Neuromed, aggiunge che i danni alla salute causati dagli UPF non sono del tutto chiari, ma possono derivare da una serie di fattori. “Gli alimenti ultra-processati, oltre ad essere poveri di nutrienti e fibre, subiscono intense lavorazioni industriali che ne alterano la struttura originaria, compromettendo funzioni fisiologiche come il metabolismo del glucosio e l’equilibrio del microbiota intestinale. Inoltre, spesso vengono confezionati in plastica, che può trasferire sostanze tossiche ai cibi stessi”.
Licia Iacoviello, direttrice dell’Unità di Ricerca di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed, sottolinea la necessità di ripensare le raccomandazioni alimentari, considerando non solo la qualità nutrizionale, ma anche il grado di lavorazione degli alimenti. “Anche alimenti apparentemente ‘sani’ – commenta – possono subire lavorazioni che ne alterano le caratteristiche, riducendo il loro valore per la salute”.