Dopo che nei giorni scorsi è stata rilevata la positività al ceppo H5N1 dell'influenza aviaria ad alta patogenicità di un lavoratore del settore lattiero-caseario in Texas, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) e l’intero governo degli Stati Uniti si sono messi subito a lavoro per fronteggiare una possibile emergenza. Stiamo “prendendo molto molto sul serio questa situazione", ha assicurato in un'intervista la direttrice dei Cdc, Mandy Cohen. I funzionari federali si stanno dunque preparando alla possibilità di ulteriori casi umani. E stanno testando componenti per creare un vaccino. Due candidati sembrano ben abbinati per proteggere contro il ceppo H5N1 che circola tra i bovini da latte e gli uccelli. In Italia, le parole d’ordine sono "Prevenzione e sorveglianza”, raccomanda l'epidemiologo Massimo Ciccozzi. "Il virus è passato dai volatili ai mammiferi. Adesso quello che dobbiamo evitare è che circoli tra i mammiferi. Perché, se poi muta o fa un riassortimento genico - avverte - nessuno ci dice che poi, una volta passato all'uomo, non ci possa essere una trasmissione interumana". "Sappiamo che dall'animale il virus" aviario "può passare all'uomo - ricorda lo specialista - L'uomo già si può infettare dall'animale, ma dobbiamo fare in modo che non contragga un'infezione con un virus aviario mutato. Il clade" di H5N1 che preoccupa gli esperti negli Usa, dove il patogeno sta contagiando le mucche da latte in diversi stati, è "particolarmente sotto osservazione: se questo fa riassortimento o muta, passando continuamente tra mammiferi - ribadisce Ciccozzi - nulla ci dice che poi quella mutazione, una volta che arriva all'uomo, non possa fargli compiere il passaggio da uomo a uomo". È questo il pericolo da scongiurare.
"Ritengo che possiamo dire che il rischio di influenza aviaria rimane basso per il pubblico perché il virus che osserviamo nei bovini e in questo caso umano è lo stesso virus a livello genetico che abbiamo riscontrato nel pollame", ha affermato Cohen. Poiché l'influenza aviaria non è un virus nuovo, alcuni esperti ritengono che il Paese sia più preparato ad affrontare un’epidemia di questo tipo rispetto al Covid, ma gli stessi esperti mettono in guardia da un atteggiamento di eccessiva sicurezza. Altri, invece, hanno sottolineato il drastico taglio nei fondi per la preparazione a pandemie future. Se si dovesse verificasse un'epidemia nell'uomo, aumentare rapidamente la vaccinazione sarebbe fondamentale, è stato evidenziato da più parti. E nel Paese il piano decennale per modernizzare la vaccinazione antinfluenzale fissa l'obiettivo di fornire le prime dosi entro 12 settimane dalla dichiarazione di una eventuale pandemia influenzale. I funzionari federali evidenziano alcune buone notizie: produrre un vaccino che corrisponda a questo ceppo specifico del virus e poi produrlo in serie, assicurano, è più semplice dello sforzo visto per sviluppare un vaccino contro il coronavirus. Questo perché esistono già vaccini per l'influenza aviaria e possono essere modificati, dicono gli esperti, per proteggersi meglio da questo ceppo specifico. Ovviamente l'operazione andrebbe conciliata con limiti ed esigenze a livello produttivo. Questo scenario in ogni caso, precisano gli esperti, probabilmente si verificherebbe solo se ci fosse una trasmissione da uomo a uomo abbastanza diffusa. Ci sono infine i farmaci antivirali approvati dalla Fda, per chi dovesse risultare contagiato dall'influenza aviaria e, secondo gli esperti, non ci sono segni che il ceppo virale attuale sia resistente a queste terapie.
Sull'aviaria "dobbiamo tenere la situazione sotto controllo. Monitorare, monitorare, monitorare. Non dobbiamo dimenticare le lezioni del Covid, ovvero la necessità di essere preparati, perché non sappiamo quando una prossima pandemia arriverà". Così all'Adnkronos Salute Walter Ricciardi, docente di Igiene all'Università Cattolica di Roma, commentando il secondo caso umano di aviaria negli Stati Uniti, in Texas, in un lavoratore del settore lattiero-caseario che era entrato in contatto con bovini infetti. Mentre l'Autorità europea per la sicurezza alimentare Efsa e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) confermano, nel Vecchio continente, la diffusione del virus tra gli animali selvatici e domestici e focolai negli allevamenti. Da sempre, ricorda Ricciardi, "conviviamo con allarmi di epidemie di aviaria. Sono fenomeni che destano preoccupazioni perché quello che osserviamo è il meccanismo attraverso cui, anche nel passato, si sono determinate epidemie. Potenziare meccanismi di sorveglianza sanitaria, di pronto intervento e in generale investire in sanità sono condizioni indispensabile per essere pronti, nel frattempo dobbiamo monitorare". "Certamente il virus” dell’influenza aviaria "H5N1 è preoccupante e va monitorato. Quello che preoccupa" per esempio nel caso segnalato negli Usa, in Texas, "è che si siano infettati bovini, quindi c'è stato un salto di specie rispetto al virus originario. Il caso umano è quello di un addetto all’allevamento. Come è successo in altri casi, dunque, non c’è traccia ancora di una trasmissione interumana. Certo serve monitorare, serve attenzione a questo virus perché può in qualche modo darci delle sorprese". A evidenziarlo all'Adnkronos Salute è il virologo Massimo Clementi. “Ora occorre mantenere certamente la vigilanza e cercare di sviluppare con attenzione presidi da mettere in campo qualora servisse limitare i danni di una trasmissione interumana. Perché all'inizio anche una trasmissione da uomo a uomo avviene in piccole comunità, in piccoli ambiti e lì andrebbe bloccata. Si può se ci sono i presidi per farlo. È chiaro – conclude - che questo è molto importante".