Grazie alla Casa di comunità, la medicina del territorio è in grado di risolvere i problemi dei pazienti non urgenti, lasciando all’ospedale le sole urgenze, e facendo sì che i tempi di permanenza in pronto soccorso si riducano. Ad esprimere questi concetti, è stata Maria Pia Randazzo dirigente UO Statistica e Flussi informativi sanitari dell'Agenas nel presentare lo studio 'Accessi in Pronto Soccorso e Implementazione del decreto 77/2022'. Su 17 milioni di accessi in pronto soccorso nel 2023 in Italia, 4 milioni sono stati codici bianchi o “verdi chiari” e potevano essere trattati sul territorio. Gli accessi impropri sono tanti ovunque, ma nelle nostre aree appenniniche ed alpine, lontane dalle strutture ospedaliere, sono stati fin qui inevitabili. Ora non più. In Basilicata, grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che ha finanziato le nuove Case di comunità, la quota di chi non raggiunge il pronto soccorso entro 30 minuti, prima del 32%, è scesa all'8%. Una riduzione analoga si vede in Val d'Aosta, e in Liguria, grazie a 32 nuove Case di comunità. In Abruzzo a Sulmona le CdC hanno ridotto il numero di accessi impropri in Ps dal 34 al 24%. Ergo, la medicina generale se vuole può evitare gli affollamenti negli ospedali. Ma, piccole medicazioni a parte, il medico di famiglia non era quello dei cronici non urgenti? Ne parliamo con Giancarlo Aulizio, mmg in pensione e padre del primo Ospedale di Comunità, a Modigliana in Romagna nel 1996, e di una delle prime Case della Salute inaugurata nel 2007 ma già attiva da tempo. «Il dibattito su cosa debba fare il medico di famiglia per contenere gli accessi in Ps ha oltre 30 anni. Proprio nei giorni scorsi però lamentavo che nell’ospedale della “mia” Modigliana non c’è da anni l’ecografo per il ginecologo. Ora – dice Aulizio – le statistiche elaborate “da lontano” danno numeri interessanti. Ma ad Agenas chiederei di fare la prova del nove, e di sincerarsi se nelle case di comunità lucane, valdostane, liguri, abruzzesi ci siano strumentazione e personale adeguati per la diagnostica strumentale. Oltre che per indirizzare le emergenze, i “codici rossi”, una quota non del tutto comprimibile dei codici bianchi (intorno al 5% ndr). Purtroppo, in Italia gli infermieri che coadiuvano i mmg nei loro ambulatori sono pochissimi, appena un terzo della Spagna. Quanto alla dotazione strumentale, la medicina di famiglia ne dispone pochissima, e nell’avanzata Ausl Romagna per una Tac o Rmn si possono percorrere fino a 140 km, tra andata e ritorno, saltando anche quattro grandi ospedali per recarsi in uno piccolo, però bisognoso di prestazioni per giustificare le tecnologie presenti. Il pronto soccorso ospedaliero a mio avviso resta il luogo giusto dove un paziente riferisce quella che gli pare un’urgenza, anche perché da tempo si tagliano persino le ambulanze medicalizzate, allontanando così anche i tempi per giungere in ospedale».
aLe dichiarazioni di Randazzo colgono nel segno però proprio in Emilia-Romagna, regione che ha istituito da novembre ad oggi 33 Centri di Assistenza Urgenza-CAU dove medici di medicina generale fanno lo screening dei codici bianchi con successo. In sei mesi nella fascia oraria 8-20 hanno trattato 123 mila casi con attese medie di 45 minuti, risolti in loco l’83% delle volte. In sette casi su dieci si trattava di utenti tra i 18 e i 64 anni, e per l’83,5% il giudizio, stando ai numeri della Regione, è stato positivo o molto positivo. Aulizio invita alla cautela. «Proprio perché non tutti i codici bianchi sono pazienti non urgenti, occorrono strutture organizzate, affiancate fisicamente all’ospedale, e figure mediche ed infermieristiche con esperienza. La medicina generale ha ereditato il risultato di anni di chiusure di ospedali e pronti soccorso; la sua casistica si è caricata di difficoltà; in parallelo negli anni del Covid all’improvviso il contatto tra medici del territorio e pazienti si è sfilacciato perché la ricetta, che determinava il 70% degli accessi in studio, ora si può fare online, in remoto. Ma per cambiare marcia nello studio del mmg mancano dotazione strumentale e personale, e mancano per ora anche in casa di comunità». Aulizio sottolinea che i Cau poco si identificano con la medicina che si fa in Casa di Comunità. «Molti Centri non sono nella CdC, ma sono affiancati all’ospedale, come dovrebbero essere. Io stesso anni fa sottolineavo come la soluzione ideale per le urgenze riferite fosse un ambulatorio per lo screening dei codici bianchi affiancato ad un Ps e gestito da un’équipe composta da un medico e personale infermieristico esperto in grado di valutare la vera gravità e, nel caso, il trasferimento rapido nell’adiacente ed attrezzato Ps».
«Dunque – conclude Aulizio – se le distanze tra piccolo centro ed ospedale sono enormi, ben venga la casa di comunità. Ma serve prima ancora personale con apparecchiature e la consapevolezza che il paziente, ad esempio, con un dolore al petto possa essere indirizzato subito all’ospedale dove inizialmente non lo si intendeva inviare. In tema di urgenze, soggettive od oggettive, bisogna diffidare di soluzioni dove si esaltano specifiche strutture senza prima verificare che quelle stesse strutture siano capaci di trattare e risolvere i problemi o in alternativa di riferirli in un lampo al grande ospedale».