In primo luogo, se andiamo a vedere quali sono le domande più frequenti dei pazienti (sono nel posto giusto? La cura proposta è quella più adatta? È stato sentito il parere di tutti gli specialisti?...), si capisce come essere dentro un network rappresenta un valore aggiunto rispetto ad una singola istituzione.
In secondo luogo, le principali criticità dell'oncologia (disequità negli accessi, discontinuità delle cure, integrazione di competenze non strutturata, accesso difficile alla innovazione) sembrano trovare una più efficace soluzione nella reale integrazione dei servizi che costituiscono l'offerta oncologica di una regione.
Infine, i grandi obiettivi strategici dell'oncologia (valorizzazione della prevenzione primaria e secondaria, omogeneità e qualità dell'offerta, appropriatezza clinica e organizzativa, integrazione ospedale territorio, accesso alla innovazione e alla eccellenza) possono essere più facilmente raggiunti se è un "sistema squadra "a farsene carico e non una singola istituzione.
Al di là delle diverse declinazioni regionali del concetto di rete penso che una buona definizione sia quella di una "relazione strutturata di un insieme articolato di istituzioni che diventano progressivamente tra loro complementari".
Se a questa definizione si fa riferimento ne possono derivare importanti acquisizioni quali sinergie di percorso, condivisione della casistica, continuità di cura, governo dell'accesso alla innovazione, economie di scala e masse critiche di casistica, appropriatezza clinica e organizzativa e, non ultima, una maggiore sostenibilità del sistema.
Ci sono delle parole chiave che costituiscono i riferimenti valoriali di una rete e sono: prossimità, equità, omogeneità dell'offerta, valore del percorso sulla singola prestazione, coerenza reciproca della programmazione delle singole istituzioni sanitarie, diritto all'innovazione.
Se questi sono i riferimenti, nell'agenda di lavoro di una rete devono essere presenti alcuni obiettivi: la creazione di accessi diffusi nel territorio, la multidisciplinarietà (contestuale e formalizzata, la disponibilità di PDTA (regionali) condivisi, la canalizzazione della casistica secondo complessità, il governo dell'accesso alla innovazione, il monitoraggio degli esiti sull'intera casistica regionale.
Le precondizioni per cui una rete si possa realizzare sono: un forte mandato della politica insieme al supporto delle istituzioni, il reale coinvolgimento dei professionisti, un sistema di governance efficace e trasparente con una struttura direzionale che sia legittimata, autorevole e riconosciuta, il supporto (anche economico)alle "sinergie "e al temp dedicato alla rete e, soprattutto, regole di responsabilizzazione delle aziende sanitarie le cui programmazioni devono essere tra loro coerenti e compatibili con gli obiettivi della rete.
La produzione di PDTA è un buon banco di prova per una rete oncologica e non solo perché rappresenta uno strumento di garanzia per il paziente, ma anche per il professionista e perfino per il menagement e il decisore politico.
Il PDTA di una rete oncologica deve essere di livello regionale con declinazioni territoriali, deve essere espressione della massima condivisione dei professionisti, deve essere recepito con atto formale dalle istituzioni, ma, soprattutto, deve dire con precisione "chi fa che cosa dove con quali strumenti e con quali indicatori "
Solo con queste caratteristiche è espressione formale della governance della rete ed è in grado di incidere sull' appropriatezza del percorso di ciascun paziente.
Due ultime considerazioni sulla necessità di una rete di leggere, se non prevedere, sia i cambiamenti epidemiologici che le nuove acquisizioni scientifiche che caratterizzano l'oncologia di oggi.
Nel primo caso occorre attuare un rapido cambiamento dell'organizzazione che tenga conto del significativo aumento dei casi prevalenti che non può più essere gestito da una oncologia che è solo ospedaliera.
I bisogni espressi, molto diversi per intensità assistenziale (da Car-t al follow up a lungo termine) devono trovare risposte in nuovi setting assistenziali (che si aggiungono a quelli classici ospedalieri)e che si possono articolare sul territorio (case della salute ,ospedali di comunità, servizi per la cronicità, domicilio del paziente...) in una prospettiva di maggior appropriatezza (riabilitazione, supporto nutrizionale, psiconcologia, somministrazione di terapie i.m o e.V brevi e non impegnative).
È compito della oncologia promuovere questa opportunità, garantire la regia unica del nuovo percorso oncologico, prevedere nuovi teams multiprofessionali superando logiche di silos che ostacolano una visione in cui il territorio è come l'ospedale un nodo importante della rete.
L'altro aspetto è quello legato ai progressi dell'oncologia mutazionale per i quali sì sono create forse eccessive attese e indubbie pressioni sia mediatiche che commerciali.
Non vi è dubbio che la rete deve essere attore principale nella risposta organizzativa a questa domanda garantendo al suo interno la costituzione dei TMB (pochi), definendo il bisogno reale di piattaforme per ampie analisi mutazionale, promuovendo la massima condivisione sui criteri di eleggibilità per questa diagnostica avanzata.
Solo così si potrà garantire nell'ambito della rete la possibilità per i pazienti selezionati accessi appropriati e di qualità.
Sono solo due esempi (TMB e oncologia territoriale) apparentemente distanti tra loro che però danno la misura del valore aggiunto della organizzazione in rete rispetto a modelli più tradizionali.
Per concludere un parallelo di tipo calcistico: la rete è simile ad una squadra e come tale deve avere un allenatore, risorse adeguate al mercato, ruoli definiti in campo, senso di appartenenza ad un collettivo e obiettivi chiari e comuni a tutti.
Gianni Amunni
Coordinatore Scientifico ISPRO