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07/06/2023

Asco, nuove speranze per il trattamento di tumori cerebrali, mesoteliomi pleurici e cancro del pancreas

Arrivano nuove armi contro i tumori del cervello, tra i più temuti e difficili da trattare. Un segnale di speranza giunge da vari studi condotti sul glioma e il glioblastoma presentati a Chicago, nel corso del Congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco), secondo cui aumenta la sopravvivenza con un nuovo farmaco e campi elettrici.
Il glioma e il glioblastoma sono neoplasie relativamente rare e che, per questo, hanno ad oggi un armamentario terapeutico ancora ridotto. Il glioblastoma è il tumore cerebrale maligno più frequente nell'adulto e ogni anno in Italia ne sono colpite circa 1.500 persone. I gliomi, invece, insorgono soprattutto in età pediatrica, con un picco tra i 5 e i 10 anni di età, e se ne contano alcune decine di casi l'anno nel nostro Paese. Al congresso Asco, i riflettori si sono accesi su queste neoplasie con due studi di grande rilevanza. Il primo, lo studio Indigo di fase 3, ha dimostrato l'efficacia di una nuova molecola (vorasidenib), in grado di ritardare la progressione della malattia o la morte nei pazienti con glioma di grado 2 con la mutazione genica Idh, che interessa circa l'80% di questi malati. Lo studio ha coinvolto 331 pazienti (16-71 anni) provenienti da 10 paesi, che avevano subito un intervento chirurgico ma nessun altro trattamento. La buona notizia è che il nuovo farmaco ha ritardato la progressione della malattia ed è stato ben tollerato: il periodo di sopravvivenza libero da progressione della malattia (Pfs) ha infatti raggiunto i 27,7 mesi rispetto a 11,1 mesi per il placebo, ritardando in modo significativo il trattamento successivo. Questi risultati «rappresentano un significativo passo in avanti nel trattamento e hanno il potenziale per rivoluzionare la cura di questa malattia. Il nostro studio» spiega il primo autore Ingo Mellinghoff, del Memorial Sloan Kettering Cancer Center «mostra infatti che andando a colpire le mutazioni Idh con vorasidenib si ritarda significativamente la crescita del tumore e la necessità di terapie più tossiche. Ciò è clinicamente significativo perché i pazienti con diagnosi di glioma di grado 2 con mutazioni Idh sono tipicamente giovani e sani.
Dunque, i risultati di questo studio offrono la possibilità di cambiare il paradigma del trattamento e potrebbero portare alla prima nuova terapia mirata per il glioma di basso grado». Attualmente, sono allo studio anche combinazioni della molecola con altri farmaci sia nel glioma di basso che in quello di alto grado. Altro risultato presentato all'Asco riguarda la terapia basata sull'utilizzo di campi elettrici che inibiscono la divisione delle cellule tumorali e che vengono inviati nella regione colpita dal cancro attraverso un dispositivo medico portatile, la cosiddetta terapia Ttfields. Questa ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza dei pazienti con glioblastoma di nuova diagnosi: lo conferma il primo studio di real world in questo campo, cioè di 'vita reale' in cui vengono inclusi pazienti non selezionati. La sopravvivenza mediana, spiega Matthew Ballo, medical director al West Cancer Center & Research Institute di Memphis, «è stata di 22,2 mesi per i pazienti che hanno ricevuto Ttfields rispetto a 17,3 mesi per i pazienti che non l'hanno ricevuta. Dico ai miei pazienti» afferma «che questa è una parte importante dello standard di cura, che consiste in radiazioni, chemio e Ttfields, perché questo approccio si traduce nel miglior risultato». Inoltre, il dispositivo «crea un campo elettromagnetico che interferisce con qualsiasi cellula in rapida divisione, quindi ha utilità non solo nel glioblastoma» rileva Ballo, sottolineando che «le indagini hanno mostrato l'attività di Ttfields in più tumori, come nel carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico al cervello, carcinoma polmonare, pancreatico, epatocellulare, ovarico e nel mesotelioma».

A tale proposito, nuove speranze si registrano anche per il trattamento dei tumori provocati dall'amianto. Sono stati presentati all'Asco i risultati dello studio Ind.227 che vede in prima linea l'Istituto tumori Pascale di Napoli. Lo studio internazionale di fase 3 ha valutato come nuovo trattamento di prima linea un farmaco immunoterapico, pembrolizumab, in combinazione con la chemioterapia con platino e pemetrexed per i pazienti con mesotelioma pleurico avanzato o metastatico non operabile. Si tratta di pazienti che hanno lavorato per anni a stretto contatto con l'amianto. Ind.227 è uno studio accademico condotto da 3 gruppi cooperativi, il Canadian cancer trials group, il gruppo cooperativo italiano sui tumori toracici coordinato dall'Istituto nazionale tumori di Napoli e l'Intergruppo cooperativo sui tumori toracici francese. «Nello studio Ind.227, l'aggiunta di pembrolizumab alla chemioterapia con platino e pemetrexed ha determinato un miglioramento significativo della sopravvivenza globale (Os), della Pfs e del tasso di risposte obiettive (Or) dei pazienti con mesotelioma pleurico avanzato o metastatico non operabile» spiega Marilina Piccirillo, dirigente medico dell'Unità sperimentazioni cliniche e responsabile scientifico del coordinamento dello studio in Italia. «Il mesotelioma pleurico è un tumore correlato all'esposizione all'amianto, e sebbene l'uso di questo materiale sia stato vietato in Italia ormai 30 anni fa, a causa del lungo periodo di latenza tra l'esposizione e l'insorgenza della malattia, l'incidenza del mesotelioma è ancora oggi in aumento» aggiunge Alessandro Morabito, direttore dell'Oncologia clinica sperimentale toraco-polmonare e uno degli sperimentatori più attivi nello studio. «Peraltro, questo tumore viene spesso diagnosticato in stadio già avanzato e non operabile e la prognosi è molto infausta. Infatti, prima dei recenti risultati ottenuti con gli immunoterapici, la chemioterapia è stata per decenni l'unico trattamento disponibile, con risultati molto scarsi. La partecipazione a questo studio è stata quindi un'ottima opportunità per i pazienti italiani, come dimostrato dal fatto che circa metà dei 440 pazienti in studio sono italiani» sottolinea Francesco Perrone, anch'egli sperimentatore principale dello studio, direttore dell'Unità Sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori di Napoli Irccs Fondazione G. Pascale, presidente eletto dell'Associazione Italiana di oncologia medica (Aiom), e coordinatore del gruppo cooperativo italiano impegnato nello studio. All'analisi finale dello studio, pembrolizumab aggiunto alla chemioterapia ha migliorato significativamente la sopravvivenza globale, riducendo il rischio di morte del 21% (hazard ratio 0,79 (intervallo di confidenza al 95% 0,64-0,98). La sopravvivenza a 3 anni è risultata migliore per i pazienti trattati con pembrolizumab e chemioterapia con platino e pemetrexed rispetto a quelli trattati solo con la chemioterapia con platino e pemetrexed (rispettivamente 25% contro 17% dei pazienti vivi a 3 anni). Anche la sopravvivenza libera da progressione è risultata significativamente migliore (hazard ratio 0,80, intervallo di confidenza al 95% 0,65-0,99). I tassi di risposta obiettiva sono risultati significativamente maggiori (62% per il braccio con pembrolizumab e chemioterapia e 38% per la sola chemioterapia. I dati sulla qualità della vita sono ancora in fase di analisi. Eventi avversi severi (di grado 3 o 4) si sono verificati nel 27% dei pazienti trattati con pembrolizumab e chemioterapia con platino e pemetrexed e nel 15% dei pazienti trattati con la sola chemioterapia con platino e pemetrexed. Tali risultati sono in linea con quanto atteso per questo tipo di trattamenti.

Ancora un importante studio italiano presentato all'Asco riguarda il tumore del pancreas in fase iniziale, secondo cui la chirurgia mininvasiva rappresenta un'opzione di trattamento sicura ed efficace. I dati derivano dallo studio randomizzato Diploma. La chirurgia mininvasiva, in mani esperte, non ha risultati inferiori alla chirurgia che prevede l'intervento tradizionale, con vantaggi come tempi di recupero più rapidi e minor rischio di infezione. «Questo approccio chirurgico, che rimuove i tumori situati sul corpo e sulla coda del pancreas e della milza, utilizza piccole incisioni con un rischio minore di complicazioni gravi rispetto alla chirurgia aperta» spiega Moh'd Abu Hilal, direttore dell'U.O. di Chirurgia generale e dell'U.O. di Chirurgia epato-bilio-pancreatica, robotica e mininvasiva di Fondazione Poliambulanza di Brescia, che ha iniziato lo studio e coordinato i centri coinvolti nel trial. «Tra maggio 2018 e maggio 2021 abbiamo studiato i casi di 258 pazienti con tumore del pancreas resecabile di 35 centri di 12 paesi. 117 pazienti sono stati operati con chirurgia mininvasiva, laparoscopica o robotica, e 114 pazienti con chirurgia aperta» afferma. I risultati sono stati molto interessanti.La resezione radicale, o asportazione completa del tumore con parte del tessuto sano circostante, è stata praticata in 83 pazienti (73%) con chirurgia mininvasiva e in 76 pazienti (69%) con tecniche chirurgiche tradizionali, che prevedono una lunga incisione. I risultati ottenuti nei due gruppi sono simili, e per la prima volta è stato dimostrato chela pancreatectomia distale mininvasiva è una valida opzione chirurgica per i pazienti con tumore del pancreas resecabile. È il primo studio randomizzato che paragona le due tecniche chirurgiche nel tumore del pancreas, fornendo rassicurazioni ai pazienti e ai medici sul fatto che l'opzione mininvasiva - che prevede alcune piccole incisioni - è valida ed efficace. Si è trattato di uno studio di non inferiorità che ha paragonato una procedura tradizionale con un'altra per confermare che il nuovo trattamento non era peggiore rispetto allo standard di cura. Le due tecniche chirurgiche mostrano risultati paragonabili. L'endpoint primario dello studio era la resezione radicale, o rimozione completa del tumore e di parte dei tessuti circostanti. La resezione radicale è stata ottenuta in 83 pazienti (73%) nel gruppo con chirurgia mininvasiva e in 76 (69%) in quello con chirurgia aperta. Dopo l'intervento, i ricercatori hanno osservato: a) Il numero dei linfonodi asportati durante la chirurgia, o resa media dei linfonodi, era 22 nel gruppo mininvasivo e 23 in quello aperto. La resa linfonodale minima per una pancreatectomia distale ben riuscita è 13 linfonodi; b) la recidiva intraperitoneale, o ricorrenza che avviene nella cavità peritoneale, era del 41% nel gruppo mininvasivo e 38% nell'altro. «La chirurgia ha fatto passi avanti significativi negli ultimi 20 anni. Uno dei più importanti è l'introduzione della tecnica mininvasiva. Per la prima volta anche nel tumore del pancreas abbiamo la conferma che la pancreatectomia distale mininvasiva è altrettanto valida della chirurgia aperta. La nostra ricerca fornisce rassicurazioni ai chirurghi e può aiutare i pazienti offrendo loro le informazioni di cui hanno bisogno per prendere insieme al medico una decisione sul trattamento» sostiene Abu Hilal che aggiunge: «Con questi risultati posso dire di essere molto contento per tanti pazienti in diversi parti del mondo che possono beneficiare di questo approccio. Non nascondo la mia soddisfazione personale essendo stato il promotore dell'approccio mini invasivo già dal 2007. Infatti, la tecnica mini invasiva descritta in questo lavoro era già stata presentata da me e dal mio gruppo nel 2016».
Lo studio internazionale di Fase III Diploma tra maggio 2018 e maggio 2021 ha arruolato 258 pazienti con tumore del pancreas resecabile. 231 di questi hanno continuato lo studio e sono stati assegnati in modo casuale al gruppo con chirurgia mininvasiva o a quello con chirurgia standard aperta. Sia il paziente che il patologo che ha esaminato i campioni erano all'oscuro del tipo di intervento chirurgico ricevuto. I ricercatori continueranno a seguire questi pazienti per confrontare i risultati a 3 e a 5 anni e un'ulteriore analisi dei campioni prelevati durante questo studio riguarderà il numero di linfonodi asportati nella milza per determinare se sia necessario asportare la milza. I ricercatori effettueranno anche ulteriori studi per confrontare i risultati tra le tecniche chirurgiche mininvasive laparoscopiche e robotiche.
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