Il Sindacato Medici Italiani e Smi Lazio scrivono al Sovrintendente Sanitario Nazionale Inail Patrizio Rossi. Gli chiedono di semplificare le certificazioni mediche per gli infortuni e le procedure da eseguire nella piattaforma informatica dell’Istituto. La lettera arriva subito dopo la firma dell’accordo nazionale dei medici di famiglia 2019-21, attuativo della Finanziaria 2019 che stanziava 25 milioni di euro annui per coprire la produzione dei certificati di infortunio e malattia professionale emessi da medici del territorio, convenzionati e di Pronto Soccorso, dipendenti. All’articolo 6, la convenzione cita la certificazione infortunistica tra gli obblighi del medico di famiglia e dispone che ogni regione trasferisca in quota capitaria a ciascun medico un compenso forfetario annuo derivante dalle risorse Inail destinate alla medicina generale, da moltiplicare per gli assistiti. Attenzione, sono le regioni a determinare quale percentuale va ai medici convenzionati e quale agli ospedalieri, sulla base della spesa storica. Ad esempio, medici di famiglia dal Veneto ci segnalano che, dei 2 milioni annui assegnati alla regione per gli anni 2019, 2020 e 2021, il 90 % è stato trasferito alle Ulss per il personale dipendente e solo il 10% – appena 225.000 euro/anno – è stato assegnato alla quota capitaria dei mmg. Pina Onotri Segretario Nazionale SMI spiega che il suo sindacato non è d’accordo con il riparto sulla base della spesa storica: «Tiene conto dei certificati emessi, cioè di fattori peculiari di ciascuna regione. In alcune piccole regioni il medico si ritroverà in quota capitaria somme infinitesimali. Avremmo preferito fosse pagato a prestazione: chi più certifica più è retribuito, anche in relazione alla responsabilità che si prende». Quanto alle richieste al Sovrintendente Rossi, gli aspetti sono due. «Primo, collegarsi al sito Inail e compilare i form è operazione farragginosa. Preferiremmo modalità più vicine alla compilazione dei certificati Inps: non doverci loggare ogni volta al sito per scaricare i modelli, ma fruire di un’interfaccia utilizzando il gestionale di studio, compilare e inviare. Secondo, riteniamo sia utile per il medico che vede il paziente, se non è dell’Inail, emettere il solo certificato che documenta l'inizio dell'infortunio. Non riteniamo necessario né appropriato il rilascio di certificati successivi. Prosecuzione e chiusura dovrebbero essere a capo delle strutture Inail che hanno accesso ai dati sulle aziende e sui datori di lavoro, tanto da poter emettere sanzioni».
Per SMI e SMI Lazio è inoltre necessario avviare "un percorso per il riconoscimento dell'infortunio sul lavoro per i medici di famiglia”, affiancando la tutela Inail alle tutele assicurative previste dalla convenzione. «Tale garanzia rappresenterebbe un efficace rimedio alla crisi della categoria medica», spiega Onotri. Ma non si nasconde che ci vorrebbe una legge. «Oggi l’infortunio del medico di famiglia è coperto per i primi 30 giorni da una polizza con Cattolica Assicurazioni e dopo da Enpam; ma in caso di infortunio e malattia professionale non scatta la copertura Inail. O meglio, scatta solo per i colleghi di Continuità assistenziale e del 118, convenzionati ma retribuiti ad ore, e non per i Medici di Assistenza primaria, considerati liberi professionisti benché convenzionati allo stesso titolo. I mmg, pur avendo pagato un pesante tributo in vite umane, hanno subito una discriminazione nel Covid, quando alle famiglie dei medici dirigenti deceduti per contagi sono arrivati 25 mila euro di indennizzo e niente ai familiari di medici convenzionati. Solo il legislatore può sanare un’anomalia di questo tipo».
Infine Onotri interviene sull’evoluzione del medico di medicina generale, tema attualizzato da un recente intervento di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera critico verso una categoria “anziana” e poco disposta a modificare parti del proprio contratto. «Il ruolo unico come deciso dall’ultima convenzione appare un compromesso poco realistico tra l’esigenza di alcuni sindacati di tutelare la figura di medico convenzionato a quota capitaria e la tendenza delle regioni ad istituire rapporti di subordinazione in casa di comunità», riflette Onotri, molto critica verso questa parte dell’accordo. «Il compromesso in questione vuol dire che i futuri convenzionati dovranno mettere insieme 38 ore di lavoro a settimana e mille assistiti: un carico più oneroso dei 650 assistiti compatibili con 24 ore a settimana di continuità assistenziale che conoscevamo, o dei mille assistiti compatibili con 12 ore di medicina dei servizi. In trattativa avevamo chiesto precisi vincoli orari e il pagamento degli straordinari oltre le 40 ore di impegno del medico, Sisac ha risposto no. Per noi è tendenzialmente impraticabile dividersi tra lo studio e la casa di comunità. Al di là del ruolo giuridico e della scelta che saranno chiamati a fare i giovani convenzionati tra dipendenza e convenzione, al momento di realizzare le aggregazioni funzionali di medici di famiglia le regioni dovranno decidere se vogliono il medico di famiglia nel suo studio vicino all’assistito, o nella casa di comunità. Tutte e due le cose insieme non si possono fare. I giovani non sceglieranno una carriera con prospettive non chiare. Né è automatico che i pazienti seguiranno il curante in casa di comunità. Anzi, è improbabile per gli anziani e per tanti altri».