Per parlare di microcitoma in modo esaustivo sono stati pensati e realizzati quattro workshop tematici all’interno del progetto Science Clinic Life Collaboration. Dopo aver affrontato il patient journey, le esperienze cliniche, l’importanza del lavoro in team multidisciplinari, il board di esperti ha portato il proprio know-how per discutere della ricerca su questa patologia complessa come il carcinoma polmonare a piccole cellule, o microcitoma.
Per decenni, questo tumore è stato trattato con la chemioterapia, standard di cura di prima linea; tuttavia, i recenti progressi scientifici e gli avanzamenti nella ricerca hanno aperto la strada a una nuova possibilità terapeutica: l’immunoterapia antitumorale.
Emilio Bria, professore associato di oncologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico Gemelli, spiega come negli ultimi tre anni questo tumore abbia vissuto un periodo di incredibile innovazione: “per la prima volta in 30 anni una nuova strategia terapeutica è entrata a far parte del trattamento di questa malattia ed è rappresentata dall’immunoterapia associata alla chemioterapia, con farmaci che inibiscono un sistema che congela la risposta tumorale. La risposta immunologica, pertanto, viene riattivata grazie a questo trattamento.”
A oggi, è importante quindi condividere i progressi e le conoscenze raggiunte nel settore della ricerca, comprendere i successi, i nodi critici, le difficoltà e le prospettive future, in modo da poter lavorare insieme con l’obiettivo di migliorare la gestione del paziente oncologico.
1. La biopsia liquida
2. Microambiente tumorale
3. Nuove strategie terapeutiche
Per quanto riguarda la biopsia liquida, questa tecnica risponde alla sfida di non poter avere una quantità adeguata di tessuto tumorale: grazie alla capacità del microcitoma di rilasciare nel sangue abbondante quantità di DNA tumorale, il prelievo ematico e l’analisi di queste tracce genetiche offre alla ricerca e alla fase diagnostica moltissimi vantaggi.
Innanzitutto, questa tecnica sfrutta un semplice prelievo del sangue per ottenere informazioni importantissime sul tumore, tramite tecniche di sequenziamento innovative (NGS), permettendo di monitorare l’andamento della malattia a partire dalla diagnosi e per tutto il suo decorso. La biopsia liquida, infatti, ci dà anche informazioni sulla responsività del paziente alla chemioterapia e serve per fare una previsione sull’efficacia dell’immunoterapia futura.
La biopsia liquida, tuttavia, può andare oltre. Come afferma Stefano Indraccolo, del dipartimento di scienze chirurgiche oncologiche e gastroenterologiche dell’Università di Padova e dell’istituto oncologico di Padova: “Quello che il campione del sangue del paziente contiene ha un potenziale informativo molto maggiore di quello che noi attualmente sfruttiamo”.
Quali sono le possibilità future della biopsia liquida? Prosegue Indraccolo: “Oltre alle informazioni già collaudate, la ricerca guarda al futuro, ovvero a qualcosa che non è ancora entrato nella prassi. In questo caso sarebbe importante ottenere informazioni sui profili di metilazione del DNA dai quali si possono evincere altre conoscenze legate indirettamente ai gruppi trascrittomici. I gruppi trascrittomici sono importanti perché forniscono indicazioni preziose sulla risposta del tumore all’immunoterapia”. Il profilo di trascrizione inflamed, per esempio, sembra associato a una migliore risposta all’immunoterapia.
Per quanto riguarda il tema del microambiente tumorale, si è parlato dell’esigenza di esplorare le complesse interazioni tra le varie componenti del microambiente tumorale sia a livello quantitativo sia qualitativo. Dario Sangiolo, professore associato di oncologia medica del dipartimento di oncologia dell’Università di Torino, ci spiega con un’immagine molto efficace cosa si intende per microambiente tumorale e perché è fondamentale: “il microambiente tumorale è il campo di gioco nel quale si svolge la partita tra il tumore e il sistema immunitario. Il tumore non è costituito solo da cellule tumorali. Sul campo da gioco troviamo cellule del sistema immunitario che sblocchiamo con l’immunoterapia, linfociti, cellule che presentano gli antigeni etc., che sono a favore del sistema immunitario; e poi abbiamo cellule che remano contro, che il tumore attrae nel corso della sua crescita e che utilizza per difendersi dalla risposta immunitaria. Infine, nel microambiente ci sono molecole con le quali queste cellule comunicano tra loro, come le citochine”.
Tutti questi elementi sono interconnessi tra di loro ed è grazie all’equilibrio che si crea che si potrà capire se la risposta sarà a favore o contro il tumore.
Per questo, prosegue Sangiolo, “più che bersagli terapeutici immaginati come singola molecola o singolo marcatore, si può parlare di microambiente come un bersaglio nella sua eterogeneità cercando, con interventi immunomodulanti, di ripristinare gli equilibri a favore della risposta immunitaria”.
Il sogno dei ricercatori come Sangiolo è quello di poter inserire negli studi clinici anche endpoint esplorativi, ovvero: “endpoint non legati al risultato clinico, ma all’ampliamento della conoscenza sul tumore. Non ne beneficia quella coorte di pazienti, ma fornirà le basi per disegnare lo studio clinico successivo”. E con l’aumento della conoscenza aumentano anche le possibilità di sviluppare nuove strategie terapeutiche.