Clinica
Rischio cardiovascolare
11/03/2025

Dislipidemia infantile: correlazioni con il rischio cardiovascolare in età adulta

La dislipidemia è frequente nei bambini e già nel 2011 le linee guida del National Heart Lung and Blood Institute raccomandavano lo screening universale del quadro lipidico nei bambini e negli adolescenti

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La prevenzione primaria precoce rappresenta un punto focale nella riduzione del rischio di eventi cardiovascolari (CV) nel corso della vita adulta. «La dislipidemia è frequente nei bambini (Perak AM, et al. JAMA 2019) e già nel 2011 le linee guida (LG) del National Heart Lung and Blood Institute (Pediatrics 2011) raccomandavano lo screening universale del quadro lipidico nei bambini e negli adolescenti», affermano Maria Chantal Ponziani e i componenti della Commissione Lipidologia e Metabolismo AME (Associazione Medici Endocrinologi), coordinata da Anna Nelva, sottolineando come studi longitudinali dimostravano che i fattori di rischio (FdR) CV misurati in età infantile e adolescenziale correlavano con i marcatori di aterosclerosi subclinica nell’adulto e potevano anche essere predittori della gravità dell’aterosclerosi in età adulta. «Il valore di tale screening e di un intervento precoce per normalizzare il quadro lipidico in età infantile è oggetto di dibattito per l’assenza di evidenze», osservano gli esperti. «Tale dibattito si è intensificato da quando la US Preventive Service Task Force lipid screening (JAMA 2023) non ha trovato evidenze a favore o contro lo screening della dislipidemia in età infantile e adolescenziale», riportano gli specialisti. «Peraltro, dati provenienti dall’International Childhood Cardiovascular Cohort Consortium (Jounala M, et al. Pediatrics 2020) hanno documentato una correlazione tra valori elevati di colesterolo non HDL (non HDL-c) in età infantile e adolescenziale e un marcatore subclinico di aterosclerosi in età adulta, come lo spessore medio-intimale (IMT). Più recentemente è stato osservato che i FdR CV in età infantile-adolescenziale (colesterolo, trigliceridi, BMI, fumo e pressione arteriosa) e il punteggio basato su questi fattori sono associati con il rischio di eventi CV in età adulta», commentano Ponziani e colleghi. «Dal punto di vista della prevenzione è importante determinare se valori elevati di non HDL-c in età infantile aumentino il rischio CV in età adulta, indipendentemente dai valori di non HDL-c dell’adulto e se il trattamento della dislipidemia renda reversibile il rischio maturato in età infantile», proseguono gli esperti.

È stato pubblicato recentemente uno studio (Wu F, et al. JAMA 2024) con lo scopo di esaminare l’associazione del non HDL-c tra età infantile ed età adulta con il rischio di eventi CV. «Sono stati utilizzati dati provenienti da 6 coorti prospettiche di bambini negli Stati Uniti e in Finlandia», riportano gli specialisti. «Il reclutamento è avvenuto tra il 1970 e il 1996, con temine del follow-up nel 2019. Sono stati esclusi soggetti senza determinazione del non HDL-c in età adulta o che avevano < 40 anni al termine del follow-up,» riferiscono gli esperti. «Sono stati utilizzati questionari standardizzati e protocolli di laboratorio in età infantile/adolescenziale (3-19 anni) e in età adulta (> 20 anni) relativamente ai seguenti parametri: colesterolo totale e HDL su campione ematico a digiuno (per calcolare il non HDL-c), età, sesso, fumo, farmaci ipolipemizzanti (età alla prima assunzione), pressione arteriosa, BMI», proseguono Ponziani e colleghi. «Sono stati considerati 5121 partecipanti (60% donne)». Questi i risultati. «Tra l’età infantile e l’età adulta 937 soggetti (18%) avevano avuto la risoluzione della dislipidemia», riportano gli specialisti. «158 (3%) avevano una dislipidemia incidente», continuano. «252 (5%) avevano una dislipidemia persistente e 3774 (74%) avevano livelli di non HDL-c stabilmente entro il target definito dalle LG».

«Nel periodo medio di follow-up di 8.9 anni dopo l’età di 40 anni si sono verificati 147 eventi fatali e non fatali», riportano gli specialisti. «I valori di non HDL-c, sia in età infantile sia in età adulta, erano associati con aumentato rischio di eventi CV (rispettivamente, HR 1.42 e 1.50),» proseguono gli esperti. «Ma l’associazione per il non HDL-c in età infantile era ridotta dopo aggiustamento per i valori in età adulta (HR 1.12)», osservano Ponziani e colleghi. «Analisi complementari hanno evidenziato che sia i valori di non HDL-c in età infantile sia il cambiamento tra età infantile ed età adulta erano associati indipendentemente con l’esito, suggerendo un ruolo di entrambi i parametri dal punto di vista preventivo», riferiscono gli esperti. «I soggetti con dislipidemia incidente e persistente presentavano un rischio aumentato di eventi CV rispetto a quelli con valori di non HDL-c stabilmente entro il target delle LG: HR 2.17 e 5.17, rispettivamente» concludono gli esperti. «Il rischio non era significativamente aumentato nei soggetti che in età adulta avevano avuto la risoluzione della dislipidemia infantile», proseguono gli specialisti.

In conclusione, i dati suggeriscono come i livelli di non HDL-c in età infantile siano associati con aumentato rischio di eventi CV, mentre i soggetti nei quali la dislipidemia si risolve in età adulta hanno rischio analogo ai soggetti con valori persistentemente normali. «Lo studio pone quindi l’accento sull’importanza dello screening precoce e dell’implementazione di misure preventive», continuano gli esperti. «I punti di forza dello studio sono l’ampiezza del campione e la lunga durata del follow-up», osservano Ponziani e colleghi. «In particolare, l’alta percentuale di bambini con dislipidemia tra il 1970 e il 1990 ha fornito un’opportunità unica per valutare le implicazioni sul rischio CV della risoluzione degli elevati valori di non HDL-c», osservano gli esperti. «I punti di debolezza sono che lo studio è stato condotto prevalentemente su soggetti bianchi non ispanici e non è stato disegnato espressamente per stabilire correlazioni legate a età, sesso e gruppo etnico», riferiscono gli specialisti. Inoltre, «non viene indicata l’eventuale presenza di dislipidemia familiare al basale. È necessaria prudenza anche nell’interpretazione dei dati nei gruppi con dimensioni più limitate del campione, in particolare nel gruppo con dislipidemia incidente», sottolineano Ponziani e colleghi. «Gli studi osservazionali non possono essere utilizzati per stabilire relazioni causali», commentano gli esperti. «Inoltre, gli autori non sono stati in grado di definire l’età adulta ottimale nella quale gli elevati valori di non HDL-c dovrebbero risolversi, perché i valori di non HDL-c erano stati misurati solo in un terzo dei partecipanti in età infantile, tra i 20 e i 30 anni e oltre i 30 anni, sebbene la loro normalizzazione si verificasse nella maggior parte dei casi entro i 20 anni», riportano gli specialisti. «Infine, non si avevano informazioni complete sulla terapia ipolipemizzante», rilevano Ponziani e colleghi. «L’assenza della determinazione del non HDL-c in età infantile per un ampio gruppo di partecipanti e i soggetti persi al follow-up potrebbero aver introdotto un bias di selezione», aggiungono gli esperti.

«Il lavoro pone l’accento sull’importanza dello screening precoce delle dislipidemie in età pediatrica», commentano gli specialisti. «Mancano dati robusti sull’efficacia di interventi preventivi in tale fascia di età. Gli autori menzionano lo studio STRIP (Pahkala K, et al. Lancet Child Adolesc Health 2020; Niinikoski H, et al. Circulation 2007), che ha mostrato come un counseling nutrizionale iniziato in età infantile migliori l’aderenza alle indicazioni dietetiche delle LG e riduca i livelli lipidici e come tale effetto favorevole si mantenga in età adulta fino a 6 anni dopo la fine dell’intervento», osservano Ponziani e colleghi. «Permane da stabilire con certezza se la riduzione del non HDL-c nelle fasi precoci della vita possa avere impatto maggiore sulla morbilità e mortalità CV rispetto all’intervento in età adulta», affermano gli esperti. «A tal proposito si ritiene interessante ricordare i risultati di uno studio del 2019 (Luirink KI, et al. N Engl J Med 2019), anche se l’obiettivo dell’intervento in quel caso era rappresentato dal colesterolo-LDL,» proseguono gli specialisti. «Si tratta di un’analisi effettuata su un gruppo di 219 pazienti con ipercolesterolemia familiare (confermata mediante test genetico nel 98% dei casi) trattati con statine sin dall’età di 14.0 ± 3.1 anni. Alla visita di follow-up, dopo 18 anni, i valori di colesterolo LDL si erano ridotti da 237 a 161 mg/dL (-32% rispetto al basale) e il 20% aveva livelli considerati a target all’epoca della pubblicazione (< 100 mg/dL)», osservano Ponziani e colleghi. «Gli autori hanno osservato che la progressione dell’IMT non risultava differente da quella dei fratelli non affetti da ipercolesterolemia selezionati come gruppo di controllo», continuano gli esperti. «Inoltre, gli autori hanno osservato una minore incidenza di eventi CV (1% vs 24% a 39 anni di età) nei pazienti trattati precocemente con statine rispetto ai genitori degli stessi, per i quali la statina si è resa disponibile solo dopo il compimento dei 30 anni», riferiscono gli specialisti. «I risultati non possono essere generalizzati all’intera popolazione, ma suggeriscono che il trattamento precoce con statine, sin dall’età infantile-adolescenziale, possa risultare particolarmente efficace nel limitare il danno aterosclerotico e nel prevenire e/o ritardare gli eventi CV», commentano gli esperti. «In conclusione, i dati presentati confermano che l’aterogenesi è il risultato sia dell’ampiezza sia della durata di esposizione delle pareti arteriose al colesterolo e forniscono un ulteriore tassello a conferma dell’indicazione delle LG a un intervento precoce sulla dislipidemia fin dall’età pediatrica», concludono Ponziani e colleghi.

JAMA 2024, 331: 1834-44. doi: 10.1001/jama.2024.4819.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38607340/

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