Individuare precocemente i pazienti a rischio di demenza per avviare trattamenti tempestivi. È questo l'obiettivo dello studio nazionale Interceptor, promosso dal Ministero della Salute e dall’Aifa, i cui primi risultati sono stati presentati in un convegno organizzato da ISS, Policlinico Gemelli e IRCCS San Raffaele.
Lo studio è nato sul finire del 2016 in risposta alla possibile approvazione da parte della Food and Drug Administration del primo farmaco contro l'amiloide, il cui accumulo nel cervello viene ad oggi considerato una delle principali cause della demenza di Alzheimer. Promotore e coordinatore è stato Il Prof. Paolo Maria Rossini che all’epoca era il direttore dell’Unità Operativa di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS (attualmente responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele-Roma).
Complessivamente, partendo da circa 500 volontari che hanno acconsentito a partecipare allo studio, sono stati analizzati 351 partecipanti con declino cognitivo lieve (MCI). I partecipanti, arruolati in 19 centri clinici diffusi in tutto il territorio nazionale, sono stati sottoposti a una serie di esami per rilevare i seguenti biomarcatori: MMSE per la valutazione delle funzioni cognitive, il DFR per la valutazione della memoria episodica, FDG-PET per l’analisi dell’attività metabolica cerebrale, Risonanza Magnetica (RM) volumetrica per la valutazione dell’atrofia ippocampale, EEG per lo studio della connettività cerebrale, test genetico per APOE e4 ed infine esame del liquido rachidiano per la misurazione dei markers biologici di malattia di Alzheimer. Durante il follow-up 104 pazienti con MCI sono progrediti ad una forma di Demenza, di questi 85 verso la diagnosi clinica di Demenza di Alzheimer (AD). I partecipanti sono stati seguiti in media per 2,3 anni, con valutazioni neuropsicologiche e funzionali ogni 6 mesi. Il modello finale include otto predittori: sesso, età, Amsterdam IADL, familiarità per la demenza, MMSE, volume dell’ippocampo sinistro (RM), rapporto abeta-42/p-tau e parametro combinato di Small Worldness dell’EEG. Questo modello ha dimostrato buone capacità prognostiche nel predire la conversione a demenza, classificando correttamente l’81,6% delle persone con MCI sia quelle che convertiranno a demenza che quelle che resteranno stabili.
“Il nostro studio dimostra che combinando tecniche di neuroimaging e analisi biochimiche è possibile affinare il percorso diagnostico – ha spiegato Paolo Maria Rossini, responsabile del Laboratorio di Neurofisiologia Clinica del Policlinico Gemelli –. La sfida ora è rendere queste metodiche sempre più accessibili per l’uso clinico su larga scala”.
"Solo l’integrazione tra dati clinici e biomarcatori permette di raggiungere una buona accuratezza nella predizione della demenza di Alzheimer", conferma Camillo Marra, direttore della Clinica della Memoria del Gemelli.
Il progetto proseguirà con una seconda fase, Interceptor 2.0, per confermare i risultati e valutarne l’applicabilità nel contesto della pratica clinica. La validazione del modello predittivo potrebbe rappresentare un punto di svolta per la presa in carico dei pazienti con MCI, consentendo di intervenire precocemente con strategie terapeutiche mirate.
Il presidente dell’Iss, Rocco Bellantone, evidenzia "il ruolo strategico dell’Interceptor per la sanità pubblica e la programmazione di interventi mirati". Per Nicola Vanacore, ricercatore Iss, "raggiungere l’80% di accuratezza predittiva è un traguardo chiave per programmi di screening e prevenzione".