Il ruolo dei carboidrati nelle variazioni del peso corporeo e nello sviluppo dell’obesità resta controverso e pochi studi hanno valutato l’associazione tra l’introito di carboidrati e le modifiche ponderali nel tempo. «Alcuni studi» afferma Rosanna Donvito, insieme ai componenti della Commissione Nutrizione e Nutraceutica AME (Associazione Medici Endocrinologi), coordinata da Giovanni De Pergola, «hanno confrontato diete con diverso quantitativo di carboidrati e con varia composizione di macro-nutrienti (grassi, carboidrati e proteine), mostrando un maggior decremento ponderale con le diete a basso contenuto di carboidrati associato ad alto contenuto di grassi rispetto a diete isocaloriche a contenuto opposto di macro nutrienti» (Speakman JR, et al. Science 2021; Ludwig DS, et al. Eur J Clin Nutr 2022). Tuttavia, osservano Donvito e colleghi, «la breve durata di questi studi randomizzati (un anno o poco più), l’eterogeneità e la differente restrizione calorica nei diversi studi hanno limitato la valutazione dell’efficacia della riduzione del quantitativo di carboidrati» (Ludwig DS, et al. JAMA 2019; Gardner CD, et al. JAMA 2018).
«Evidenze più forti», aggiungono gli esperti «emergono invece riguardo agli effetti della qualità e della fonte dei carboidrati nel controllo del peso corporeo, con effetti più positivi per i carboidrati meno raffinati e le verdure, e meno positivi per i carboidrati raffinati e gli zuccheri aggiunti» (Soto-Mota A, et al. Am J Clin Nutr 2023; Reynolds A, et al. Lancet 2019).
Un recente studio prospettico di coorte (Wan Y, et al. BMJ 2023) ha avuto l’obiettivo di «valutare l’associazione fra variazioni dell’apporto di carboidrati e variazioni ponderali a intervalli quadriennali» segnalano Donvito e colleghi. «Sono state considerate 3 diverse coorti nordamericane: Nurses’ Health Study (1986-2010), Nurses’ Health Study II (1991-2015), e Health Professionals Follow-Up Study (1986-2014). Questi i criteri di esclusione: soggetti ultra65enni (a causa del fisiologico decremento di massa magra), donne in gravidanza, diabete mellito, malattie cardio-vascolari, patologie oncologiche, insufficienza renale e altre malattie croniche, soggetti con regimi alimentari estremi (in termini di Kcal assunte durante la giornata)», riportano gli esperti. La popolazione considerata aveva queste caratteristiche: 136 432 partecipanti, età media 50.2 anni, 83.5% di sesso femminile. A intervalli di 4 anni, a ciascun partecipante veniva chiesto di compilare dei questionari alimentari inerenti al consumo abituale di specifiche porzioni di cibo nel corso dell’anno precedente e di riferire il proprio peso.
Ed ecco i risultati. «La variazione ponderale media in 4 anni era di: +0.2 kg per aumento di 100 g/die dell’introito totale di carboidrati; +0.7 kg per aumento di 100 unità/die di carico glicemico (ottenuto dal quantitativo in grammi di carboidrati di ciascun alimento x il quantitativo medio dell’alimento consumato giornalmente x l’indice glicemico); +1.2 kg per aumento di 10 unità/die di indice glicemico; +1.5 kg per ogni 100 g/die in più di amidi, zuccheri aggiunti e zuccheri totali (carboidrati raffinati +0.8 kg e vegetali ricchi di amido +2.6 kg); -0.8 kg per ogni 100 g/die in più di fibre; -0.1 kg per ogni 100 g/die in più di zuccheri naturali; -0.2 kg per ogni 100 g/die in più di fruttosio», riportano Donvito e colleghi. «Il decremento maggiore si raggiungeva con le verdure povere di amido (-3.0 kg) vs le fibre della frutta (-1.6 kg) vs i cereali non raffinati (-0.4 kg in 4 anni)».
«Queste associazioni» continuano gli specialisti «sono risultate più significative nei soggetti: obesi e sovrappeso rispetto ai normopeso (probabilmente per la resistenza insulinica e/o per deficit della lipolisi del tessuto adiposo e ridotta attività del tessuto adiposo bruno); con età < 50 anni; che praticavano scarsa attività fisica; consumatori di alcool (quantità moderate); di sesso femminile (per motivi non ancora definiti)».
«I meccanismi per cui l’aumento del quantitativo totale di carboidrati, dell’indice e del carico glicemico determinerebbe un incremento del peso corporeo, coinvolgono principalmente modifiche nella sensibilità insulinica e altre modifiche ormonali, tali da favorire il deposito di grassi» osservano Donvito e colleghi. «Al contrario, una modifica qualitativa dei carboidrati, ovvero un aumento del consumo di carboidrati ricchi di fibre (verdure povere di amido, frutta, cereali non raffinati) aumenterebbe il senso di sazietà, riducendo l’introito di cibo, indurrebbe l’ossidazione dei grassi riducendone i depositi e modificherebbe il microbioma. Ne deriva che sostituire una porzione di carboidrati raffinati o vegetali ricchi di amido con un simile introito calorico corrispondente a una porzione di carboidrati integrali, frutta e verdure povere di amido si associa a decremento ponderale. Allo stesso modo, anche la sostituzione di una porzione di grassi con un quantitativo energetico simile derivante da queste tre fonti di carboidrati determina il medesimo effetto», commentano Donvito e colleghi.
Limiti dello studio, secondo gli esperti: «l’analisi è stata fatta su dati provenienti da questionari».
In conclusione, affermano Donvito e colleghi: «il fattore principale nelle variazioni del peso corporeo non sarebbe il quantitativo totale di carboidrati assunto; l’aumento dell’indice glicemico, del carico glicemico e del quantitativo di zuccheri aggiunti, carboidrati raffinati e vegetali ricchi di amido sembra associarsi a maggior incremento ponderale; l’aumento del quantitativo di fibre, cereali integrali, frutta e verdura povera di amido sembra associarsi a minor incremento ponderale. Da qui» sottolineano «l’importanza della qualità dei carboidrati e della scelta della fonte di carboidrati da consumare come strategia a lungo termine nel controllo del peso corporeo».
BMJ 2023, 382:e073939. doi: 10.1136/bmj-2022-073939.§
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37758268/