"Una morte annunciata, purtroppo. Quello che è successo a Caprarola era altamente prevedibile e dimostra l'assoluta inefficacia della legge 81 nel fronteggiare episodi di questo tipo, per cui si rende assolutamente urgente una riforma strutturale che metta in sicurezza tutti: operatori, pazienti, familiari e vittime. Rimandare questo tipo di iniziativa significa esporre i cittadini e tutto il sistema a rischi che in questo momento non sono comprimibili". È il commento della Società italiana di psichiatria (Sip) in riferimento all'omicidio di un operatore ecologico di Caprarola, Viterbo, che sarebbe stato commesso da un pregiudicato con problemi psichici in attesa di un posto in una Rems, residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza. "Un problema annoso, una riforma urgentissima, ma bloccata in Parlamento. Mentre si discute di 20 euro del canone Rai, le persone muoiono. Forse è il momento di modificare alcune priorità nelle azioni del Governo", affermano gli psichiatri.
"Sono passati quasi 9 anni dall'apertura della prima Rems - ricorda la Sip - e circa 10 dalla legge 81/14. La Corte costituzionale, nel frattempo, ha rilevato gravi profili di incostituzionalità della normativa, tanto da sottolineare che il sistema andrebbe in teoria azzerato e rifondato. A protezione dei pazienti la Corte si è però limitata a ritenere necessaria una modifica sostanziale esprimendo questa posizione in termini di esclusivo indirizzo. Ma la situazione attuale sta precipitando e preoccupa il mondo della psichiatria in primis, soprattutto dopo eventi drammatici come l'omicidio di Marta Di Nardo per mano di Domenico Livrieri, nei confronti del quale il gip aveva reiterato invano la richiesta di ricovero in Rems; o come l'omicidio a Pisa di Barbara Capovani. E oggi la vicenda che ha coinvolto Renzo Cristofori, ucciso da Patrick Sardo" arrestato con questa accusa.
In Italia vi sono circa 600 persone ricoverate in Rems e circa 700 persone in attesa di ricovero in Rems, evidenziano gli psichiatri. Ciò significa che, se domani raddoppiassero i posti disponibili, vi sarebbe comunque ancora una lista d'attesa. Dunque il vero problema, come in ogni altro ambito della sanità, resta per gli specialisti l'appropriatezza degli invii alle Rems e la possibilità di correggere norme che contrastano con le conoscenze scientifiche e la pratica clinica.
"L'Italia è forse l'unico Paese al mondo che riconosce l'infermità o la semiinfermità mentale a chi è affetto da disturbi della personalità, in particolare quello antisociale, esattamente quello di Patrick Sardo" che avrebbe ucciso il 68enne di Caprarola, prosegue la Sip. La conseguenza di ciò è che "il 30-40% degli ospiti delle Rems - cioè coloro che hanno un disturbo antisociale, quasi sempre affiancato all'abuso di sostanze stupefacenti - nelle Rems non deve stare. Perché non ha necessità sanitarie mediche, ma solo di contenimento delle manifestazioni comportamentali violente. Violente verso gli operatori, le guardie, soprattutto verso gli altri pazienti più fragili. Violenza che li trasforma in poco tempo i 'dominatori' della struttura".
"Se dal sistema Rems i disturbi antisociali fossero collocati in ambiente carcerario, con la dovuta assistenza psichiatrica intramuraria laddove necessario, come avviene in tutto il mondo e come sempre previsto dalla legge 81 - precisano gli psichiatri - ridurremmo la popolazione Rems, tra lista d'attesa e ricoverati, di circa 400 persone. Dunque, senza le persone 'antisociali' nelle strutture solo sanitarie, il personale non avrebbe più timore di andare a lavorare, mentre ora si assiste a una vera e propria fuga da queste strutture, intimoriti dalle continue aggressioni di questi utenti e dalla mancanza di adeguata protezione".
Inoltre, è necessario creare almeno una Rems in ogni regione con i requisiti strutturali previsti dalla Conferenza Stato-Regioni, e così vi sarebbero almeno altri 40 posti. In ultimo, rafforzare i Dipartimenti di Salute mentale per consentire la presa in carico di pazienti che è possibile dimettere, e che dagli ultimi dati sono circa il 30%, ma che non trovano posto nelle comunità terapeutiche o non vi è personale sufficiente nei servizi territoriali per la presa in carico", conclude la Sip.