La riforma dell’accesso a Medicina che prende corpo scontenta anche sindacati e società scientifiche della medicina territoriale, molto più favorevoli a mantenere il concorsone pre-accesso che ad addentrarsi in un semestre nel quale le facoltà di medicina sono frequentate da tutti i candidati. Il testo che esce dalla Commissione Cultura del Senato va verso la permanenza del numero programmato ed una selezione lunga sei mesi durante i quali gli aspiranti medici verranno “decimati” dalla necessità prima di passare tre esami (anatomia, biologia, fisica) e poi di superare il solito test con cento domande a risposta multipla. In quei sei mesi le università forse non si affolleranno: cooptando gli atenei telematici il grosso delle lezioni si svolgerebbe da remoto. Il problema però, per il presidente Fnomceo Filippo Anelli (medico di famiglia di estrazione) sta a monte, nel pensare che ai nastri di partenza del corso di laurea sia necessario avere tutti i candidati possibili per sostituire i camici dipendenti e convenzionati che andranno in pensione di qui al 2032. In realtà, con le attuali immatricolazioni, entro il 2030 il problema delle carenze dovrebbe essere superato mentre con la riforma «ci sarebbe il pericolo di formare molti laureati che potrebbero non avere possibilità di trovare lavoro come medici in futuro». Su posizioni analoghe si attestano ora due forze della branca che più si sta spopolando in questi anni, la medicina di famiglia: Assimefac, società scientifica vicina al Sindacato Medici Italiani, e il sindacato FMT-Federazione Medici Territoriali.
Leonida Iannantuoni, Presidente Assimefac esprime “perplessità” se non “contrarietà” alla riforma: «Proporre un accesso libero, anche solo al primo semestre, comporterebbe una sproporzione tra numero di studenti e capacità didattica delle facoltà, sproporzione che renderebbe improponibile proprio uno degli obiettivi del disegno di legge, l’equa selezione basata sul merito. Il nostro disaccordo è basato sull’analisi della situazione. In vigore da 25 anni e introdotto per porre fine ad un’insostenibile pletora, il numero chiuso ha generato una organizzazione logistica in termini di aule, laboratori, biblioteche e personale docente delle università, calibrata sull’accesso, per sede, di poche centinaia, se non di decine, di iscritti all’anno». Per Iannantuoni, «le 43 Facoltà di medicina del paese sono totalmente impreparate all’accoglienza di decine di migliaia aspiranti alla professione medica». Assimefac resta favorevole al sistema d’accesso attuale ed offre piena collaborazione «a supporto di questa ed altre future proposte legislative».
Veniamo ai sindacati. Secondo Francesco Esposito, segretario nazionale FMT, è il momento di finirla con le “improvvisazioni”: «Vogliamo fare qualche osservazione sulle modalità di selezione: siamo sicuri che non si vadano a creare centri di potere nelle mani di pochi docenti che decideranno, arbitrariamente, la sorte di migliaia di futuri medici?». Per Esposito, il problema delle carenze di medici è reversibile con misure economiche. «Le Regioni importano medici stranieri dall'estero, ma migliaia di medici italiani fuggono negli altri paesi europei, dove trovano migliori condizioni di lavoro. Basterebbe fare un calcolo su quanto ci costa formare i nostri giovani professionisti nelle nostre università, per poi perderli, e vedere se non è più fruttuoso trattenerli. Con due turni dei ‘gettonisti’ potremmo incentivare i nostri medici per un mese, rendendo attraente economicamente alcune specialità». Esposito accenna poi al 118, dove “per carenza di medici stiamo demedicalizzando le ambulanze ed ingolfando i pronti soccorso, mentre si dovrebbe evitare il caos nei Ps potenziando il territorio». Quanto ai medici di famiglia che lasciano il lavoro perché appesantiti dalla burocrazia, per trattenerli bisognerebbe evitare innanzi tutto «oltre 100 note Aifa con una serie di ripetizioni inutili di piani terapeutici che sottraggono tempo alla cura».