Tempo, medicina personalizzata, gestione in remoto, obesità e cuore, Linee guida Esc: questi i temi e le parole-chiave (soprattutto il fattore ‘tempo’) intorno ai quali si sono maggiormente focalizzati gli interventi del congresso "Conoscere e curare il cuore", giunto a Firenze alla 41a edizione.
Lo stato dell’arte sulla riduzione della colesterolemia-LdL è stato affrontato da Francesco Prati, Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto e direttore del dipartimento di Cardiologia cardiovascolare dell'Azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma e docente di Cardiologia all'Università di Roma UniCamillus. «Gli effetti dell’abbassamento del colesterolo sull’aterosclerosi sono noti» ha premesso. «Più recentemente trial randomizzati sull’impiego di inibitori Pcsk9 e condotti con tecnica Oct (Optical coherence tomography) e Nirs-Ivus (near-infrared spectroscopy-intravascular ultrasound) hanno fornito ulteriori spiegazioni, mettendo in risalto la riduzione della componente lipidica, l’ispessimento della capsula fibrosa e infine la riduzione dell’infiammazione locale in seguito al marcato abbassamento della colesterolemia-Ldl». Rimane però da chiedersi in quanto tempo questi farmaci sortiscano l’effetto di stabilizzazione dell’aterosclerosi, ha affermato Prati: è un fenomeno che si misura in mesi oppure le variazioni della colesterolemia sono tali da ipotizzare un cambiamento della placca fin dalle prime settimane? «Non è chiara la tempistica dell’azione dei farmaci ipolipemizzanti» ha riconosciuto. «Uno studio pubblicato recentemente da Schwartz G. et al., come analisi post-hoc dell’Odissey, ha dimostrato che scendere a valori molto bassi di colesterolo-Ldl nell’immediato (prime settimane dall’inizio della terapia), fa migliorare ulteriormente la prognosi in soggetti con recente sindrome coronarica acuta (Sca). Uno studio recente sull’efficacia clinica della riduzione precoce e transitoria del colesterolo Ldl nella Sca si inserisce in questa corrente di pensiero. Come era lecito aspettarsi, i pazienti del gruppo alirocumab che raggiungevano valori iniziali consecutivi di colesterolo-Ldl al di sotto di 15 mg/dl, avevano valori basali di colesterolo-Ldl inferiori rispetto ai pazienti dell’intera coorte dello studio. Secondo queste osservazioni preliminari il trattamento aggressivo e precoce dell'ipercolesterolemia in soggetti con Sca si traduce in risultati clinici migliorativi rispetto a una strategia che prevede un controllo più graduale. Non si può escludere che, ragionando in termini di stabilizzazione dell’aterosclerosi, la riduzione del colesterolo a livelli bassissimi sia in grado di modificare le placche in modo significativo sin dalle prime settimane, modificando quelle caratteristiche correlate alla vulnerabilità. È anche possibile che l’efficacia dei farmaci si esplichi anche attraverso una marcata e precoce riduzione della componente infiammatoria che sappiamo essere molto più evidente nei soggetti con Sca. Queste osservazioni preliminari, e in particolare la tesi che vede nella Sca un grande beneficio dall’abbattimento precoce e transitorio del colesterolo-Ldl, è di grande interesse. Vanno confermate attraverso ulteriori studi clinici di tipo prospettico e idealmente con studi di regressione dell’aterosclerosi condotti precocemente» ha concluso Prati.
Sulla ‘golden hour’ nella gestione dello shock si è soffermata in particolare Laura Gatto, medico cardiologo presso l’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma. Lo shock cardiogeno è definito come uno stato di inadeguata perfusione d’organo dovuto primariamente ad una disfunzione di pompa cardiaca, ha ricordato. Nonostante i numerosi progressi nella terapia di riperfusione e di supporto al circolo, la mortalità rimane elevata, con un range oscillante dal 25% al 70% in base alle casistiche, ha aggiunto, e i protocolli di valutazione e trattamento per lo shock cardiogeno dovrebbero richiedere un approccio simile a quello utilizzato per l’infarto miocardico con elevazione del tratto ST dove la diagnosi precoce e l’attivazione immediata di una rete di soccorso con tempi rapidi di rivascolarizzazione hanno ridotto considerevolmente la mortalità. Dunque, lo shock cardiogeno - ha ribadito la specialista - rappresenta una condizione critica tempo-dipendente che necessita di una strategia di pianificazione terapeutica mirata sin dal primo contatto clinico, definendo un breve lasso di tempo come “golden hour” per l’inquadramento e l’iniziale gestione. Difatti, alla stregua del ben più noto “door to balloon”, anche approcci tempestivi di supporto meccanico al circolo (“door to support”) stanno acquisendo evidenze in letteratura. La terapia dello shock cardiogeno, ha precisato Gatto, si basa su due cardini fondamentali: il trattamento della causa sottostante, per esempio la rivascolarizzazione miocardica in caso di infarto acuto, e la terapia di supporto volta a migliorare la perfusione e l’ossigenazione attraverso l’utilizzo di farmaci vasoattivi e dispositivi di supporto meccanico al circolo. La varietà di presentazione dello shock cardiogeno, la gravità e le potenziali cause, l’assenza di forti evidenze per i trattamenti proposti (per es. supporti meccanici) e la necessità di terapie personalizzate rendono il decision-making ancora più complesso e la presenza di un team multidisciplinare essenziale. L’introduzione del modello “hub-and-spoke” ha dimostrato effetti positivi sugli outcome delle cure in un setting “real life”, ha sottolineato l’esperta. L’ospedale “hub” è dotato di un team multidisciplinare composto da cardiologo interventista, urgentista, cardiochirurgo e specialista in scompenso avanzato. Gli ospedali “spoke” comprendono i centri dotati di emodinamica senza disponibilità di supporti al circolo avanzati o ospedali non dotati di emodinamica, entrambi referenti al centro “hub”. Il centro hub dovrebbe essere dotato di uno ‘shock team’ che fornisce adeguate informazioni ai centri spoke riguardo la necessità di escalation dei trattamenti, la necessità di supporto avanzato, cateterismo destro per la scelta del supporto appropriato, gestione perioperatoria e monitoraggio adeguati, eventuale weaning da supporti. L’implementazione di protocolli regionali riguardanti lo shock sia dovuto a infarto miocardico (Ami: Acute myocardial infarction) che scompenso acuto su cronico (Adhf: Acutely decompensated heart failure) è risultata sia attuabile che associata a migliore sopravvivenza, ha concluso Gatto.
Piera Capranzano dell'Università di Catania, professore associato di Malattie dell'apparato cardiovascolare, ha affrontato la questione tempo in relazione al possibile cambio di strategia costituito dalla rivascolarizzazione multivasale immediata nell’infarto. La malattia coronarica multivasale (Mvd, Multivessel disease) è una condizione di frequente riscontro in pazienti con infarto miocardico Stemi (ST-segment elevation myocardial infarction) sottoposti a Pci (Percutaneous coronary intervention) primaria del vaso colpevole, ha ricordato. Diversi studi – ha proseguito Capranzano - hanno dimostrato il beneficio della rivascolarizzazione coronarica completa rispetto al trattamento della sola lesione colpevole nei pazienti con STEMI e, sulla base di tali evidenze, le attuali Linee guida europee raccomandano che, in pazienti emodinamicamente stabili con Stemi e Mvd, la rivascolarizzazione completa di routine deve essere ottenuta o durante la stessa procedura in concomitanza del trattamento della lesione colpevole (Pci multivasale immediata) o con un successivo intervento entro 45 giorni dalla Pci della lesione colpevole (Pci multivasale differita). Tuttavia, le Linee Guida non esprimono una preferenza per la PCI multivasale immediata versus quella differita. Pertanto, ha sottolineato Capranzano, il timing ottimale del trattamento delle lesioni non colpevoli in pazienti con Stemi e stabilità emodinamica è ancora dibattuto ed è stato valutato in recenti studi che hanno mostrato la non inferiorità della Pci multivasale immediata rispetto a quella differita. Evidenze cliniche recenti, ha aggiunto la professoressa, mostrano che in pazienti con Stemi in condizioni di stabilità emodinamica la rivascolarizzazione completa mediante Pci multivasale immediata rispetto a quella differita è una strategia altrettanto sicura ed efficace, supportandone l’implementazione pratica in pazienti selezionati. La strategia di PCI multivasale immediata nello Stemi, ha fatto notare, potrebbe essere particolarmente utile nei pazienti con malattia coronarica bi-vasale, con un rischio non elevato di sviluppare un danno renale acuto, e con lesioni non colpevoli ragionevolmente semplici, tali da non richiedere una procedura prolungata con l’uso di tecniche complesse e da essere associate a un'elevata probabilità di successo procedurale. In generale, ha concluso Capranzano, la decisione di effettuare una rivascolarizzazione completa immediata deve essere individualizzata sulla base del rischio clinico del paziente e di considerazioni logistiche.