Il dibattito relativo alla relazione fra mente e corpo ha una lunga storia, in ambito medico, filosofico e religioso, con periodi in cui è stata enfatizzata l’unitarietà piuttosto che la dicotomia, in particolare sulla base degli orientamenti culturali dell’epoca. Così si è passati dalla unitarietà ippocratica della teoria degli umori (IV secolo avanti Cristo) alla dicotomia cartesiana (1662 dC). Il superamento di tale dicotomia è iniziato con l’introduzione del concetto di psicosomatica, agli inizi dell’Ottocento, ed è in tale contesto che Sigmund Freud ha posto le basi teoriche delle interazioni fra mente e corpo. Anni più tardi, nel 1977, George Engel ipotizzò l’adozione di un nuovo modello, quello bio-psico-sociale in cui le componenti biologiche, emozionali e relazionali di una malattia devono essere considerate unitariamente con l’obiettivo di una corretta identificazione diagnostica e di una efficace strategia terapeutica. Per ogni malattia, sia somatica che psichica, possano concomitare fattori organici, situazioni psichiche ed aspetti sociali, interindividuali ed ambientali, che possono potenziarsi od inibirsi a vicenda.
Esempi clinici rilevanti di tale modello applicativo sono gli aspetti emozionali e cognitivi del dolore e della psico-oncologia.
Circa la metà dei pazienti con dolore cronico riferiscono di non essere adeguatamente soddisfatti dalla propria terapia farmacologica analgesica. Le spiegazioni possono essere molteplici, ad esempio una dose non adeguata di farmaco (es. un sottodosaggio di gabapentinoidi) od un farmaco non adeguato al il tipo di patologia (es un oppiaceo per un dolore nociplastico). Ma, nella nostra esperienza, riteniamo che molti casi di dolore non controllato dai farmaci dipendano dal fatto che in tali pazienti non siano stati adeguatamente presi in considerazione i parametri emozionali (ansia, depressione, stress, etc.), cognitivi (paura, scarsa resilienza etc.), e sociali (solitudine, isolamento sociale, etc.) inerenti il dolore di tale paziente. Le psicoterapie hanno ampiamente dimostrato, sia sul piano emozionale che su quello cognitivo, una capacità modulatoria sulla risposta immunitaria, come evidente nell’ambito della psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI). Ulteriore conferma di tale azione biologica da parte delle psicoterapie deriva dagli studi di neuroimaging: un adeguato trattamento psicoterapico con terapia cognitivo comportamentale, con ipnosi, con tecniche di meditazione ha dimostrato una riduzione dell’attività talamica, correlata ad una ridotta percezione del dolore, ed una contestuale maggiore attività nelle aree limbiche correlate all’inibizione cognitiva del dolore(corteccia frontale, area cingolata anteriore, grigio periacqueduttale). Sul versante del dolore sociale poi, cioè quello implementato dallo stress derivante dalla solitudine o dall’isolamento sociale, tutti gli interventi che potenziano la socializzazione del paziente sono risultati in grado di incrementare fortemente la riduzione della percezione algica, principalmente interagendo con il sistema dello stress (HPA) e quindi riducendo il rilascio di citochine pro-infiammatorie (depressogene).
Analoga drammatica implicanza del modello biopsicosociale nella clinica oncologica è rappresentata dalla Psico-oncologia.
Ogni patologia oncologica comporta un profondo coinvolgimento degli aspetti emozionali e relazionali sia del paziente che dei familiari. Un corretto ed adeguato approccio oncologico non può quindi prescindere da una valutazione, e se necessario di una presa in carico, delle modificazioni emozionali e cognitive che derivano al paziente dalla patologia e dai suoi trattamenti. Ad esempio la garanzia di un’adeguata esecuzione di una presa in carico di chemioterapia domiciliare non può prescindere dalla conoscenza dei meccanismi di difesa e degli stili di coping del paziente: un soggetto che utilizzi precipuamente i meccanismi di negazione come difesa emozionale non potrà essere aderente al trattamento domiciliare, come invece avviene per un soggetto caratterizzato da uno spirito combattivo. Allo stesso modo un individuo presentante caratteristiche temperamentali di evitamento dimostrerà un incremento degli effetti collaterali dovuti all’amplificazione nocebo dei possibili effetti indesiderati. Fondamentale in tale contesto è la capacità comunicativa di un sanitario che certamente dipende da caratteristiche individuali ed esperienziali, ma che devono essere implementate dalla conoscenza di tecniche comunicative verbali e non verbali
La possibile critica applicativa che il metodo biopsicosociale comporti un maggiore dispendio temporale è assolutamente corretta, ma deve essere concettualmente modificata nella considerazione che il tempo utilizzato ad approfondire gli aspetti non semplicemente biologici risulta essere un investimento sull’aderenza e sull’efficacia verso i trattamenti che si concretizza in un ritorno di vantaggio sia temporale che economico.
Prof. Riccardo Torta