Le sostanze chimiche presenti in oggetti di uso quotidiano potrebbero minacciare seriamente la salute riproduttiva. È l’allarme lanciato da una nuova revisione scientifica pubblicata su Nature Reviews Endocrinology, che ha analizzato oltre 250 studi e conclude che gli “interferenti endocrini” (EDC) possono ridurre la fertilità femminile e favorire disturbi come la pubertà precoce, la menopausa anticipata e la sindrome dell’ovaio policistico.
Gli EDC comprendono un’ampia gamma di sostanze chimiche presenti quotidianamente nel nostro ambiente, prodotte e commercializzate dall’industria. Tra queste figurano additivi plastici come ftalati e bisfenoli utilizzati negli imballaggi alimentari, negli articoli per la casa e nei prodotti per la cura personale, oltre a pesticidi che contaminano suolo, acqua, aria e cibo.
La review ha evidenziato che le sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino influiscono sulla salute riproduttiva femminile in molteplici modi, tra cui riduzione della riserva e della qualità ovocitaria; interferenza con la crescita dei follicoli ovarici e accelerazione della perdita di ovociti; aumento del rischio di menopausa precoce; alterazioni nella tempistica della pubertà; contributo all’aumento dei casi di sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) e riduzione del successo dei trattamenti per la fertilità come la fecondazione in vitro (IVF).
Diversi studi hanno evidenziato che sostanze come bisfenolo A (BPA), atrazina e di(2-etilesil) ftalato (DEHP) possono alterare la meiosi, il processo che forma le cellule uovo, causando ovociti di scarsa qualità o con cromosomi anomali. Inoltre l’esposizione in utero al dietilstilbestrolo (DES, un estrogeno sintetico il cui uso è stato vietato dalla FDA nel 2000) è stata collegata a una durata più breve della vita riproduttiva e a una maggiore infertilità, probabilmente a causa di un numero ridotto o di una perdita accelerata di follicoli ovocitari; gli interferenti endocrini possono anche accelerare l’atresia follicolare (la perdita naturale di ovociti immaturi), probabilmente attraverso lo stress ossidativo e altri danni cellulari.
Un’esposizione elevata e prolungata agli EDC è stata associata a menopausa precoce: uno studio ha rilevato che le donne con i più alti livelli di esposizione combinata a 111 EDC andavano in menopausa quasi quattro anni prima di quelle con i livelli più bassi.
Infine, nei ratti e nei topi, gli endocrine disrupture riducono i livelli di ormoni riproduttivi chiave – compresi estradiolo, ormone luteinizzante (LH) e ormone follicolo-stimolante (FSH) e alterano i cicli riproduttivi normali, anche mesi dopo la fine dell’esposizione.
“Questi studi forniscono prove causali delle numerose associazioni riportate tra l’esposizione agli EDC in età adulta, la ridotta densità follicolare e la menopausa precoce”, affermano i ricercatori.
Anche sullo sviluppo della pubertà gli EDC possono agire come estrogeni o bloccare la produzione ormonale, influenzandone l’inizio. Livelli più alti di EDC sono stati associati ad alterazioni nel rilascio di GnRH, l’ormone ipotalamico che controlla la pubertà. Nelle ragazze, l’esposizione precoce a BPA e DES è stata collegata sia a sviluppo mammario anticipato o ritardato, sia a mestruazioni regolarmente ritardate. Gli ftalati, che bloccano gli ormoni maschili, sono stati associati anch’essi a pubertà ritardata. Alcuni EDC possono anche influenzare la pubertà attraverso modifiche epigenetiche, cioè cambiamenti nell’accensione e nello spegnimento dei geni trasmessi tra generazioni.
Riguardo alla PCOS e agli esiti dei trattamenti di fertilità, la revisione riporta che la PCOS è la più comune disfunzione endocrina femminile (fino al 15% delle donne globalmente), e benché i fattori genetici contribuiscano, gli EDC possono perturbare l’equilibrio ormonale durante lo sviluppo fetale, alterare i segnali puberali, la crescita degli ovociti e la produzione ormonale, aumentando il rischio di PCOS. Sebbene i dati siano limitati, alcuni studi mostrano concentrazioni maggiori di EDC nel sangue di donne con PCOS, in particolare PFAS; uno studio svedese ha trovato che vivere in aree con alta contaminazione da PFAS raddoppiava il rischio di sviluppare PCOS. Esposizioni a composti come BPA, tributilstagno e DEHP causano in animali sintomi simili alla PCOS, inclusi squilibri ormonali, minore numero di follicoli maturi e cisti ovariche. Alcune ricerche collegano l’esposizione agli EDC a tassi più bassi di successo in IVF e altri trattamenti di fertilità, con evidenze non sempre coerenti.
Due studi inclusi nella review hanno riscontrato che sostanze come BPA, ftalati e parabeni presenti nel fluido follicolare erano associate a un minor numero di ovociti maturi, a tassi di fecondazione più bassi e a livelli ormonali alterati.
Livelli chimici più elevati sono stati collegati a una minore sensibilità ovarica, ossia a una risposta più debole ai farmaci per la stimolazione ovarica. L’infiammazione e lo squilibrio ormonale a livello ovarico, indotti da sostanze come DEHP, possono ulteriormente ridurre la fertilità, mostrano gli studi.
Nonostante le solide evidenze, dimostrare un rapporto diretto di causa-effetto negli esseri umani è difficile, avvertono i ricercatori. Molti fattori influenzano la salute riproduttiva, e gli effetti degli interferenti endocrini possono impiegare anni a manifestarsi.
Gli autori sottolineano la necessità di strumenti genomici avanzati per studiare come gli EDC colpiscano cellule specifiche del cervello, delle ovaie e dell’ipofisi. Suggeriscono anche come queste sostanze possano influenzare il microbioma intestinale e la placenta, sistema chiave nello sviluppo cerebrale e dell’apparato riproduttivo.
“Questa review evidenzia i rischi per la salute riproduttiva”, affermano i ricercatori. “Le lacune di conoscenza e le discussioni in corso non devono sminuire l’urgenza di agire attraverso strategie coordinate e misure efficaci, per prevenire l’esposizione agli EDC e proteggere la salute riproduttiva delle donne e delle generazioni future” concludono.
Bibliografia: https://www.nature.com/articles/s41574-025-01131-x