Le malattie cardiovascolari non sono una prerogativa solo maschile. Oggi rappresentano la principale causa di morte tra le donne, ma la ricerca scientifica continua a concentrarsi prevalentemente sugli uomini. Nei trial clinici dedicati alle patologie cardiache, infatti, meno del 30% dei partecipanti è donna — un dato in costante calo negli ultimi anni, che comporta gravi conseguenze per la salute femminile. L’allarme arriva dalla Fondazione Il Cuore Siamo Noi della Società Italiana di Cardiologia (SIC), che ha promosso un convegno al Senato interamente dedicato alle differenze di genere nel rischio cardiovascolare. “Quando i farmaci vengono testati quasi esclusivamente sugli uomini, non possono garantire la stessa efficacia sulle donne — spiega Francesco Barillà, presidente della Fondazione —. Questo aumenta il rischio di effetti collaterali e riduce l’aderenza alle terapie, con un conseguente aumento del 20% nel rischio di infarto miocardico per le donne”.
Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Heart del gruppo British Medical Journal, la rappresentanza femminile nei trial cardiologici è passata dal 40% registrato tra il 2010 e il 2017 a meno del 30% attuale. Uno squilibrio che si traduce in terapie meno personalizzate e meno efficaci per le pazienti. “La mortalità per cardiopatia ischemica è più alta tra le donne rispetto agli uomini — evidenzia Pasquale Perrone Filardi, presidente della SIC —. Secondo la Società Europea di Cardiologia, il 51% dei decessi femminili è dovuto a patologie cardiovascolari, contro il 42% nel genere maschile. In Italia, parliamo di oltre 217 mila morti l’anno, di cui circa 122 mila donne e 95 mila uomini”. Molteplici i fattori che contribuiscono a questa disparità. Oltre alla carenza di criteri di arruolamento specifici e alla scarsa presenza di donne alla guida degli studi clinici, pesano i timori legati a gravidanza e menopausa, le barriere socioeconomiche e culturali e la falsa convinzione che le malattie cardiache colpiscano meno il sesso femminile. “Purtroppo, continua a persistere l’idea che le patologie cardiovascolari siano un problema ‘maschile’ — afferma Susanna Sciomer dell’Università Sapienza di Roma —. Questo si riflette in uno squilibrio nella prevenzione, diagnosi e trattamento: le donne ricevono cure più tardive, sono meno sottoposte a screening preventivi e accedono meno alle terapie riabilitative”.
A complicare il quadro, anche le differenze biologiche tra i sessi. I sintomi di infarto nelle donne possono essere atipici: non sempre si manifesta il classico dolore toracico, ma piuttosto stanchezza, dispnea, sudorazione fredda o palpitazioni, che spesso portano a diagnosi tardive. Inoltre, alcuni fattori di rischio — come fumo, diabete e ipertensione — hanno un impatto più marcato nelle donne, soprattutto dopo la menopausa. “Una fumatrice ha un rischio fino a cinque volte superiore di sviluppare patologie aterosclerotiche rispetto a un uomo — spiega Sabina Gallina dell’Università di Chieti —. E il diabete, più frequente nel sesso femminile, può raddoppiare il rischio di eventi cardiovascolari”. Vi sono poi fattori sesso-specifici: dal diabete gestazionale alla sindrome dell’ovaio policistico, fino agli effetti delle terapie oncologiche per il tumore al seno. “È urgente costruire una medicina più attenta alle peculiarità femminili — conclude Roberta Montisci dell’Università di Cagliari —. Solo così potremo garantire diagnosi più accurate e terapie davvero efficaci per la salute del cuore delle donne”.