Secondo un recente studio, pubblicato su JAMA Internal Medicine, nel solo 2023, le radiazioni ionizzanti emesse dalle Tac (Tc) potrebbero aver causato fino a 103.000 nuovi casi di tumore negli Stati Uniti, pari a circa il 5% di tutte le diagnosi oncologiche annue.
Lo studio condotto dal team della UCSF, guidato dalla professoressa Rebecca Smith-Bindman, radiologa ed esperta in epidemiologia e biostatistica, ha coinvolto una collaborazione internazionale tra diverse istituzioni accademiche e sanitarie, tra cui anche l’Università della California Davis e l’Institute of Cancer Research di Londra. Un numero fa riflettere: l’indagine ha analizzato un campione enorme: oltre 93 milioni di Tac effettuate nel 2023 su 61,5 milioni di pazienti, mostrando un aumento del 30% nell’impiego della Tc dal 2007 ad oggi.
La fascia d’età più colpita? Gli adulti tra i 50 e i 59 anni. Ma i più vulnerabili, secondo i dati, sono neonati e bambini, per cui il rischio di sviluppare un tumore a causa delle radiazioni è dieci volte superiore rispetto agli adulti.
Tuttavia, la conclusione degli autori non è quella di demonizzare la tomografia computerizzata, che rimane uno strumento salvavita in molti scenari clinici, ma di richiamare a un uso più cauto e mirato. Lo studio mette in discussione la cosiddetta "low value care", cioè tutte quelle prestazioni che vengono eseguite pur non portando un beneficio clinico reale per il paziente. Tac eseguite per sintomi generici, come mal di testa in assenza di segnali di allarme o infezioni delle vie respiratorie superiori, sono tra gli esempi citati di utilizzo discutibile.
Oltre alla quantità, viene messo in discussione anche il dosaggio delle radiazioni, che – sottolineano i ricercatori – varia enormemente da un centro all’altro e da una macchina all’altra. In alcuni casi, pazienti sottoposti allo stesso tipo di esame possono ricevere quantità di radiazioni molto diverse. Questo “far west” dosimetrico è particolarmente preoccupante in ambito pediatrico, dove la sensibilità ai danni da radiazione è massima.
“La Tac è uno strumento essenziale, capace di salvare vite, ma spesso viene usata in maniera eccessiva o inappropriata”, sottolinea la prof.ssa Rebecca Smith-Bindman, radiologa e coautrice dello studio. “Oltre alla frequenza degli esami, è il dosaggio delle radiazioni a preoccupare: esistono variazioni significative, e alcuni pazienti ricevono dosi ben superiori al necessario”.
I ricercatori fanno appello alla comunità clinica per una riflessione urgente sulle pratiche di imaging: molte Tac, come quelle prescritte per infezioni delle vie respiratorie superiori o cefalee senza segni di allarme, potrebbero essere evitate o sostituite con esami meno invasivi per una medicina più sicura, sostenibile e centrata sul paziente.